In questo sito vengono utilizzati cookies tecnici necessari alla fruizione del sito stesso. Vengono inoltre utilizzati cookies di terze parti (google) per la raccolta di informazioni sulla fruzione del sito. Non vengono in alcun modo raccolte informazioni in grado identificare gli utenti. Le informazioni raccolte non vengono in alcun modo cedute ad altri soggetti.

l'informazione come cura ( Giovanni Chioetto ricordando Tania) [13/02/2012]

 

Cari medici ascoltateci

 
Trovo nel bellissimo sito di Roberto Magarotto "Per una Vita come prima" la storia di Tania, inserita dal curatore l'8/6/2011 con il titolo: Cari medici, ascoltateci.
Incuriosito dal titolo e dalla mancanza di commenti, c'è solo quello di Rossella, ho deciso di rispondere a Tania e Rossella attraverso il blog e il sito. 
Ecco la storia di Tania copiata dal sito e incollata nel mio blog: La mia vicenda inizia nel 2007 con un intervento al seno,  a cui segue  naturalmente visita dall'oncologo. Lette tutte le carte mi dice che nel mio caso con nove linfonodi infettati devo fare una dose molto forte di chemioterapie e radioterapie entro un anno. Ascoltata questa dichiarazione penso due minuti e rispondo:“ Dottore, posso sopravvivere se farò quello che lei mi propone?” certo! Le garantisco che lei ce la farà nel 98% dei casi, ma il 2% io non posso garantirlo nel senso che se esce da qui e viene investita o cade dalla scala…signora è la vita!
Bene ho capito conoscendomi parto sicura anzi se il dottore mi dice che la percentuale è così alta io devo metterci tutta la mia volontà qualsiasi cosa succederà. In un anno faccio tutto: inizio la terapia di mantenimento; chiedo alla dottoressa di suggerirmi una cura disintossicante al mio corpo, anzi al fegato (una vocina di notte me lo suggeriva) ma risponde che basta una vita sana e un po’ di moto, sono scettica ma lei è un medico io una tendaggista, faccio quello che mi ha detto. Dopo 23 mesi in un controllo ho i marker fuori limite massimo, faccio la TAC e sorpresa è passato nel fegato. In ambulatorio impazzisco, urlo che mi era stata promessa la mia guarigione, ma la dottoressa mi dice che dovevo sapere che con i linfonodi infettati era possibile che mi tornasse. Mi convincono di procedere immediatamente con le nuove cure, sono due anni che faccio terapie, le devo cambiare continuamente perché non si capisce bene se è il cancro che si abitua o il mio organismo combatte i “veleni”, questo mi è stato detto. Da due anni penso e ragiono: cari medici dovete informarci tempestivamente di tutte le notizie che possedete riguardo alla patologia che ci riguarda della malattia in se stessa, della nutrizione, dell’aiuto psicologico, ma in particolare dovete ascoltarci! Noi malati siamo gli unici intermediari con la malattia che voi state ancora cercando di capire!
 
Le nostre sensazioni, pensieri, suggerimenti, vi possono aiutare a capire, non abbiate paura delle nostre sofferenze o della nostra morte. Non potrete mai percepire cosa ci passa per la testa perché voi non siete malati; non è un risentimento verso i sani, anzi tutti torniamo alla terra, la differenza è che noi sappiamo quando avverrà!
In concreto a noi malati servono: RISPETTO del nostro aspetto durante e dopo le cure, della nostra intimità, delle nostre scelte se curarci o meno. Inoltre la nostra malattia, a mio modesto parere, non è molto diversa dalle altre, alla fine di ogni malattia si muore, ma è evidente per la perdita di capelli o dimagrimento, fa paura ai sani perché è luogo comune che si soffre fin dalla scoperta e lì a breve porta alla fine; credo si possa fare molto di più per i malati in DH e RICOVERATI senza ricorrere a personaggi illustri, perché ognuno di noi “SANI” e “MALATI” si comportino con RISPETTO, DIGNITA’, ALTRUISMO. 
Posso testimoniare di aver imparato molto da questa malattia: ascolto il mio corpo, rispetto i tempi, gioisco delle piccole cose, ascolto gli altri senza pregiudizi, allontano chi mi fa del male, apprezzo il cibo, l’acqua, l’aria pulita, il sole, la nebbia, il freddo, la pioggia: tutto quello che il mondo ci offre. LA VERITA’ E’ CHE SE NOI VOGLIAMO POSSIAMO VIVERE NORMALMENTE COME GLI ALTRI, ANZI NOI ABBIAMO CAPITO IL SENSO DELLA VITA.

La storia di Tania ha un solo  commento, quello di Rossella.
Cara Tania, sento che sei molto arrabbiata: ne hai certo motivo, ma se posso permettermi un suggerimento, anche se non ci conosciamo e non so se leggerai questo post...allontana da te questo sentimento! Placalo, bagna questo fuoco con tanta acqua e cerca in quei sentimenti che citi alla fine un ricongiungimento con la parte migliore di te. La rabbia, seppur giustificata, seppur comprensibile, non cura il tuo fegato, non lo "disintossica", anzi proprio il contrario. Te lo dice una che prima del suo tumore al colon si arrabbiava spesso e volentieri. Troppo fuoco non scalda, brucia! Lasciati andare alla delizia del godimento della vita che ti è data, seppur in mezzo a terapie varie e trova una nuova modalità di vita, che sa trovare nell'accettazione anche di quello che non possiamo arrivare a comprendere una nuova energia vitale, più sana e guaritrice. Si vive molto meglio, credimi! In bocca al lupo, davvero con affetto! 
 
Ho deciso di aggiungere a quello di Rossella anche il mio commento. Mi chiedo: Perchè ci sono pochi commenti su storie e considerazioni come quelle di Tania? Credo perché il cancro fa paura, e quando ne parli tutti (i maschi) toccano ferro o qualcos'altro! 

Cara Tania  avevi  ragione quando dicevi  che i medici ascoltano poco o nulla i pazienti, salvo rare eccezioni. Presi dalla frenesia del fare attività convenzionata e  ancor più per quella a pagamento intra e extra moenia, non hanno tempo per i rapporti umani. E' altresì vero, per chi ha sperimentato il cancro, che la sua filosofia e la sua visione cambiano, guarda  il mondo con occhi diversi. Questo vale anche per altre gravi patologie, basta vedere la classificazione ICD-9-CM-2007 delle malattie per rendersi conto che la sofferenza umana non ha limiti. Quando pensi di essere il più "sfigato" sta certo che c'è uno che ti supera. Dio mio, Dio mio perché tanta sofferenza su questa terra? Mi sono sempre chiesto: Perchè la vita è stata così impostata? Non poteva essere diversa? Perchè esiste il dolore e la sofferenza? Tutti dobbiamo lasciare il nostro corpo prima o dopo, ma è umano sperare di farlo con dignità e senza tanto soffrire! Nessuno sa come morirà, in quanto tempo e  dove, se per vecchiaia, cancro, Alzheimer, sla, fibrosi cistica, infarto, ictus, per incidente/infortunio o per eutanasia e suicidio (queste due ultime parole fanno paura, non si dovrebbero scrivere).
E' umano che ognuno si ponga grandi domande sul senso del vivere e del morire, dell’amare, del gioire e del soffrire, dell’impegnarsi per una famiglia, per un gruppo, per la comunità, per la società e per una professione (nel mio caso docente e preside). Ma ciò diviene più impellente e coinvolgente quando siamo in presenza di una malattia incurabile.

 
Cesare Pavese scrittore, poeta, saggista e traduttore italiano, suicidatosi nel 1950 all'età di 42 anni, sul diario che venne pubblicato postumo nel 1952 con il titolo "Il mestiere di vivere. Diario 1935-1950", afferma: Alla domanda perché tanta sofferenza, non sappiamo cosa rispondere! Tanti sono morti disperati. E questi hanno sofferto più di Cristo. Ma la grande, la tremenda verità è questa: soffrire non serve a niente. 
Paul Claudel, poeta, drammaturgo e diplomatico francese, ci dice invece: Dio non è venuto a sopprimere la sofferenza, non è venuto a spiegarla, ma è venuto a riempirla della sua presenza. 
L'oncologo Umberto Veronesi saggiamente sostiene che: Vivere il dolore degli altri, dei pazienti significa prenderne coscienza nella sua entità fisica e psicologica. S’impara a distinguere il dolore dalla sofferenza, mentre spesso ci concentriamo sul dolore fisico e trascuriamo la sofferenza e qui sta la differenza fra curare la malattia e curare il malato.

Personalmente condivido l'affermazione di Viktor Frankl, neurologo e psichiatra viennese (1905 - 1997),  fondatore della logoterapia (cura attraverso la riscoperta del significato dell'esistenza e dei suoi valori fondamentali): "Ho trovato il significato della mia vita nell'aiutare gli altri a trovare nella loro vita un significato". Potrebbe essere questo il motto di ogni associazione di volontariato.
 
 
 
 
Un altro personaggio che merita di esere ricordato, e che ci può aiutare nell'affrontare la nostra patologia,   è il giornalista e scrittore italiano Tiziano Terzani. Nel libro "Un altro giro di giostra. Viaggio nel male e nel bene del nostro tempo"  afferma a proposito del suo cancro e delle cure che ha subito e cercato "Io ero un corpo: un corpo ammalato da guarire. E avevo un bel dire: ma io sono anche una mente, forse sono anche uno spirito e certo sono un cumulo di storie, di esperienze, di sentimenti, di pensieri ed emozioni che con la mia malattia hanno probabilmente avuto un sacco a che fare! Nessuno sembrava volerne o poterne tenere di conto. Neppure nella terapia. Quel che veniva attaccato era il cancro, un cancro ben descritto nei manuali, con le sue statistiche di incidenza e di sopravvivenza, il cancro che può essere di tutti. Ma non il mio! L’approccio scientifico, razionale che avevo scelto faceva sì che il mio problema di salute fosse più o meno quello di un’automobile guasta che, assolutamente indifferente alla prospettiva di essere rottamata o accomodata, viene affidata a un meccanico, e non il problema di una persona che, coscientemente, con tutta la sua volontà, intende essere riparata e rimessa in marcia. A me come persona, infatti, i bravi medici-aggiustatori chiedevano poco o nulla. Bastava che il mio corpo fosse presente agli appuntamenti che loro fissavano per sottoporlo ai vari trattamenti”.
Mi sembra di sentire Tania.  
Ma dopo un peregrinare per il mondo alla ricerca di una cura che lo guarisse, ritorna all’Orsigna, alla casetta di legno che s’era costruito dove stare solo (Orsigna è una frazione di Pistoia, situata nella valle attraversata dall'omonimo torrente): Per me era importante aver capito questo, che il fine della mia vita era di ristabilire un’armonia, con quel che mi circonda, con la gente a cui tengo, e con questo prepararmi all’ultimo passo della vita, che è la morte, senz’angoscia, senza la pretesa che troverò una cura». Godere di ogni giorno «come fosse un altro giro di giostra».«Io sono in pace. Sono in una condizione stupenda, sto benissimo. E il mio corpo, me ne staccherò, lo lascerò lì e andrò via». Un solo cruccio: «Mi incuriosisce morire, mi dispiace solo che non potrò scriverne». E un consiglio finale: «Ridere, io trovo che ridere è una cura, è parte della guarigione. Infatti un’altra delle terapie che ho scoperto in India è la terapia del sorriso, del ridere. Per cui il consiglio che do a tutti è cominciare con una gran risata e finire con una gran risata».
Mi sembra di sentire Rossella. 

Concludo con l'augurio, vale non solo per i malati oncologici ma per tutti, che si lasci questo mondo, quando il destino lo deciderà, in modo dignitoso e senza tanto soffrire!! Chiediamo troppo? Chissa se qualcuno ci ascolta?

 

Giovanni Chioetto  ( blog: chiamablog.blogspot.com )

 


::::::    Creato il : 13/02/2012 da Magarotto Roberto    ::::::    modificato il : 16/02/2012 da Magarotto Roberto    ::::::
Commenta questo testo
Nome:
Cognome:
E-Mail:
IL TUO MESSAGGIO 
Codice di sicurezza verifica visuale
riporta i caratteri visualizzati nell'immagine