Come ho già accennato , la casa del mio amico Gustavo, dove sto trascorrendo l’attuale periodo di malattia (per gliomatosi maligna), è diventata luogo di incontro e di intreccio di storie diverse.
Oltre mia sorella e i miei fratelli, sempre presentissimi e teneri, vengono a trovarmi e si incontrano qui alcune colleghe e colleghi dell’Università di Verona. Non pochi si rendono disponibili per accompagnarmi alle visite o semplicemente per fare una passeggiata oppure mi portano libri e prodotti che ritengono possano essermi utili (perfino creme terapeutiche e berretti). Con tutte/i intrattengo intense conversazioni. Vengono o si mantengono in contatto anche i colleghi e le colleghe dei servizi amministrativi dell’università. C’è in particolare un gruppo consistente di amici e amiche che si turnano per essere presenti a casa nelle ore in cui non ci sarebbe nessuno oltre a me. Potrei infatti soffrire di una crisi epilettica e mi è stato consigliato di evitare di rimanere a lungo da solo. Se a casa non c’è nessun altro, queste/i amiche/i si mettono d’accordo, vengono e spesso si fermano col loro computer per completare i loro lavori. Oppure portano qualcosa da mangiare o lo condividono. Semplicemente sono lì, presenti. Se Gustavo è via, si fermano anche a dormire. Per quanto riguarda la mia esperienza all’Università, mi viene da pensare che forse proprio in questo si rivelano i tratti di una cultura organizzativa attenta all’umano, che valorizza, anche all’interno delle istituzioni, il valore dei rapporti e resiste alla tentazione di considerare solo ciò che è tangibile e misurabile in termini di prestazione e risultato.
Ci sono poi le relazioni che sono state costruite attraverso progetti con vari enti e istituzioni, che pure consentono di alimentare anche rapporti significativi, che vanno oltre i progetti e portano ad esprimere una vicinanza personale autentica.
Per completare l’elenco dei volti delle persone che incontro, dovrei citarne molti altri: gli amici d’infanzia, alcuni compagni di scuola e di altre esperienze, a cui sono rimasto legato, così come gli amici e le amiche che si fanno sentire da ogni parte d’Italia e, potrei dire, del mondo. Mi hanno raggiunto nella casa di Gustavo, ciascuna/o con la propria storia, amiche/i e colleghe/i provenienti da Germania, Lituania, Austria, Inghilterra, Svizzera, Colombia, Brasile, Etiopia. Diversi sono venuti di persona. Anche il contatto con loro mi ha fatto enorme piacere, mi ha sollecitato a riprendere l’uso delle lingue (inglese, tedesco e spagnolo) e mi ha allargato gli orizzonti e il cuore.
Si sono fatti vivi, soprattutto per email e whatsapp, anche non pochi studenti e studentesse italiani e stranieri dell’università. Alcuni/e di loro li incontro quando riesco ad andare in dipartimento.
Ci sono poi i/le malati/e. Alcuni/e li conoscevo già prima di iniziare in prima persona questo percorso di malattia, altri/e li ho conosciuti/e nelle camere o nelle sale d’attesa dell’ospedale di Negrar. Sono comunque venuto a contatto con le loro storie (ad esempio la storia di un giovane ex-allievo dell’istituto Don Bosco, morto recentemente, la storia della mamma di un’infermiera di Negrar, scomparsa dopo un lungo e faticoso periodo di malattia, la storia di colleghi colpiti improvvisamente da malattie gravemente invalidanti, la storia di figli/e, parenti e amici anche loro colpiti da gravi malattie). Nei confronti del loro dolore mi sono scoperto più sensibile e vulnerabile di quanto mai ero stato prima. Infine, anche con alcune figure che lavorano all’ospedale di Negrar (medici, infermieri/e, operatori) si è costruito un rapporto profondo, quasi di amicizia.
Ci sono insomma persone che appartengono ai diversi mondi che abito, colleghi/e ed ex colleghi/e, religiosi/e, persone di tutti i tipi che si aprono e raccontano la propria vicenda personale, i rapporti con i/le loro compagni/e e i/le figli/e, i loro problemi, le loro preoccupazioni, le loro passioni e le loro aspirazioni. Ho tentato di abbozzarne sopra un elenco, che rimane inevitabilmente incompleto, ma si tratta davvero di una folla variegata. Non miro a completezza ed esaustività, voglio solo sottolineare come ognuna delle categorie indicate si leghi a volti e storie concrete, spesso tra loro differenti, talvolta convergenti.
Ci sono persone appartenenti a diverse confessioni religiose o che abbracciano diverse concezioni della vita. Una collega, ad esempio, mi ha scritto così: “…pregare non posso, perché ho smesso di parlare con Dio anni fa, ma sei presente nelle mie meditazioni buddiste… Ti abbraccio forte, forte…”. Un’amica psicologa, non credente, dopo esserci venuta a trovare, ha scritto a Gustavo il seguente messaggio: “Carissimo […], grazie a te per questo incontro. Mi sono sentita in una casa intima. […] Oggi ho capito cosa significa ‘dov’è carità e amore, qui c’è Dio’. È questo che mi commuove nella vita”. Un altro amico, commentando i post di questo blog, ha scritto così: “Parli tanto di Dio, senza bisogno di citarlo”.
Ci sono poi persone di orientamento omosessuale, colleghi/e e non, alcuni/e dei/lle quali vivono in coppie stabili da parecchi anni, con cui nel tempo si sono costruiti rapporti di affetto, stima e amicizia.
Differenti sono i retroterra sociali e culturali: ci sono coloro che vivono una religiosità tradizionale, mi regalano oli e immagini sacre e attivano catene di preghiera, ci sono coloro che portano prodotti omeopatici e fiori di Bach ecc., e poi ci sono persone che alimentano la mia mente regalandomi saggi o libri di poesia. In ogni caso si attivano o mi vengono in vari modi espresse attenzione e vicinanza particolari. Qualche volta queste persone si incontrano e nascono relazioni tra loro. Speciali sono quelle che si sono instaurate tra un gruppo di colleghe, mia sorella e i miei fratelli: vere e proprie onde di affetto, che si propagano, si intersecano, si amplificano.
A casa di Gustavo sperimento insomma cose che non ho sperimentato nemmeno in trent’anni di appartenenza a una comunità religiosa: diversità riconciliate e spiritualità vissute intensamente che si incontrano con posizioni sostanzialmente atee ma aperte all’altro e alla dimensione misteriosa della vita. È bello vedere queste diversità che interagiscono e si fecondano tra loro.
Conversazione, attenzione all’altro, ascolto di sé e dell’altro spingono a coltivare il desiderio di fare. Cresce in me ad esempio il desiderio di aiutare, per quanto posso, chi mi ha sostituito in vari progetti di ricerca o di formazione e si confronta con me su ciò che sta realizzando. Nel fare questo, qualche volta provo un po’ di fatica ma vedo anche realizzarsi un ricco intreccio di storie e di azioni. Soprattutto sono colpito da come tutte/i aiutano tutte/i le/gli altre/i. Forse sarebbe successo in ogni caso, ma a me piace pensare a tutto questo anche come a qualcosa di connesso con l’esperienza o intensificato dall’esperienza che sto vivendo negli ultimi mesi.
Insomma, la sensazione prevalente è di non essere solo, ma connesso. Faccio l’esperienza che tutti condividiamo uno stesso impegno e una stessa vocazione umana, che gli uni sono spinti verso gli altri, che incontrare e incontrarsi sono aspetti fondamentali della vita. La casa di Gustavo diventa un crocevia in cui poter parlare e discutere di tutto, in cui potersi contaminare e crescere insieme, nello scambio di mondi e appartenenze aperte. Alla fine, nella mia storia, riconosco le tracce di tutte le altre e nella storia degli altri i segni della mia. Posso dire che il mio cuore sta assaporando in pace la gioia delle relazioni. In questo intreccio c’è qualcosa che va oltre le storie dei singoli e fa intravedere una trama ulteriore, una storia più grande, che agisce e si rivela proprio nelle connessioni.
:::::: Creato il : 11/06/2019 da Magarotto Roberto :::::: modificato il : 11/06/2019 da Magarotto Roberto ::::::