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storia di stefania (ritrovare la possibilità di una vita normale ) [21/02/2013]

 

 
Ho 23 anni e mi chiamo Stefania. La mia storia inizia nei primi mesi del 2009 quando cominciarono forti dolori alla spalla. Ho iniziato subito a prendere gli antidolorifici, ma i dolori aumentavano, rendendomi impossibile dormire la notte. Quando ho capito che non era normale utilizzare un tavolino in sostituzione del letto, dove ormai non potevo più sdraiarmi, convinsi il medico a sottopormi a controlli più approfonditi. Da una prima lastra risultarono delle macchie bianche precisamente nella testa dell'omero sinistro. Subito dopo fui sottoposta a una Tac presso l'ospedale Israelitico, dove il primario del reparto di Radiologia mi parlò di un bravissimo medico che si trovava all’Ospedale Rizzoli di Bologna. Chiamai il Rizzoli e la risposta del centralino fu: “Signora ma il Prof. Biagini si trova a Roma ed è diventato il primario del reparto di Ortopedia oncologica dell'Istituto Regina Elena. E’ inutile che venga qui a Bologna quando ha l'oro vicino
casa sua”. Io rimasi molto sorpresa da quelle parole e corsi a prenotare una visita. Quando incontrai il Professore mi fece subito sentire a mio agio, ma ciò che più mi piacque fu che, nonostante fossi accompagnata dai miei genitori, lui si rivolse direttamente a me, mettendomi al corrente di tutta la situazione. Mi spiegò che avrei dovuto fare una biopsia ossea e che il mio problema poteva essere o un tumore maligno o una malattia delle ossa. Come mi aveva prescritto, feci la biopsia a Modena. I risultati mi vennero direttamente comunicati dal Prof. Biagini.
 Mi disse che io avevo un “osteosarcoma fibroblastico di 3°”, spiegandomi che tipo di tumore fosse, come dovesse essere curato e l'intervento al quale mi avrebbe sottoposta. Le sue parole furono poche, ma soppesate: sottolineò che non avrei più alzato il braccio neanche per toccarmi la testa. Risposi che non ero preoccupata di questo, ma che volevo avere la certezza che lui avrebbe estirpato il male dal mio corpo. Mi bastò il suo “sì”, perché per me significò che non avrebbe permesso che il cancro potesse avere la meglio su di me. Dopo circa due settimane venni chiamata dalla dott.ssa Ferrarese, oncologa che mi fu presentata dal Professore e che mi accompagnò per tutto l’anno di terapia.
 Quando la cercavo non la trovavo mai, ma quando meno me l’aspettavo la vedevo nell’atrio; mi chiedeva sempre come stavo e mi diceva: “ Non mi sono dimenticata di te”. Me la ricordo come una donna veramente straordinaria. Lei mi mise al corrente di tutti gli effetti collaterali della chemioterapia, che iniziai il 18 maggio 2009. Credo di esserle rimasta impressa perché quando parlammo per la prima volta, mentre lei cercava di spiegarmi con tatto cos’era la chemio io le dissi: “Non si preoccupi so di che si tratta, mia nonna l’ha fatta per anni. Ma io vorrei sapere solo una cosa: io fumo e adesso non posso smettere, come la mettiamo?” lei rimase dapprima senza parole, poi mi disse che capiva e che per il momento bastava ridurre le sigarette giornaliere, ma che avrei dovuto smettere in futuro, cosa che ho fatto. Fui sottoposta a 4 chemio preoperatorie e il 16 luglio venni operata nel reparto di Ortopedia Oncologica. Il Prof. Biagini era in ferie, me lo aveva comunicato qualche giorno prima verso le 7. Me lo ricordo perché dopo la terapia delle 6.30 era difficile che riprendessi sonno. Mi ripeté più di una volta che, mentre io sarei stata in sala operatoria, lui sarebbe stato sull’aereo. Forse la mia scena muta gli fece credere che ero rimasta sconvolta, oppure voleva solo accertarsi che avevo capito, ma in realtà in quel momento avevo troppo sonno per reagire a qualsiasi notizia.
La paura mi assalì dopo poco, ma alla fine gli altri dottori riuscirono a rassicurami. L’operazione venne eseguita dai dottori Salducca, Favale e Zoccali, che mi sostituirono la parte di osso malato con una protesi innovativa, asportandomi gran parte del deltoide (muscolo della palla), perché era preso dal male. Ricordo nitidamente il mio primo incontro con loro: entrarono nella stanza, mentre parlavo con il Professore, lui si alzò per mostrar loro le mie lastre. Loro annuirono e mi sorrisero. Mentre uscivamo uno di loro, il dott. Salducca, si girò verso di me, mi accarezzò il viso e mi disse: “non temere penseremo noi a te!”. Io, trattenendo a stento le lacrime, non fui in grado di dire neanche una parola, mi riuscì solo una mezza smorfia che poteva somigliare in via molto approssimativa ad un sorriso.
 Di fatto mantenne la sua parola. I dottori non mi lasciarono mai sola, si occuparono di me anche quando non li vedevo, mi coccolarono facendomi sentire come a casa; insieme alla capo sala e agli altri infermieri, con i quali si instaurò un rapporto che tutt’oggi ci lega, mi facevano tanto ridere. Non finirò mai di ringraziarli, possono sembrare cose banali, ma in realtà non lo sono più, quando vivi il momento più difficile della tua vita e ti appare tutto nero. Devo confessare, anche a costo di sembrare pazza, che mi è dispiaciuto molto quando sono stata dimessa da quel reparto.
Talmente tanto che, mentre ero in macchina sulla strada verso casa, guardando dal finestrino la grande struttura dell’ospedale e scorgendo le finestre del reparto, non riuscii a trattenere una lacrima di nostalgia! Fu da quel giorno che promisi a me stessa che appena avrei potuto sarei tornata, perché non potevo abbandonare i miei Eroi. Quando credevo che il mio viaggio terapeutico fosse giunto quasi alla fine, ricevetti i risultati sulla “necrosi del tumore”. Si tratta di un’analisi che viene fatta sulla parte asportata dall’operazione chirurgica, con cui si controlla quante cellule maligne siano morte con la chemio pre-operatoria.
Nel mio caso risultò una soglia inferiore al 90%, quindi dovetti essere sottoposta ad altri 12 cicli di chemio, con l’aggiunta di un ulteriore medicinale. Furono i 9 mesi più lunghi della mia vita. L’incubo finì l' 8 aprile 2010.
Un semplice libro non basterebbe per descrivere la chemio e i suoi effetti psico-fisici, ma posso aggiungere che ognuno la vive in maniera diversa e che, se si vuole, può non essere così tragica come viene dipinta. Ma questa è un'altra storia. E' stato un anno veramente lungo e molto difficile, la terapia è stata estenuante, l'operazione mi ha letteralmente travolto. Capire quello che avrei potuto fare o non fare con il braccio è stato difficile: sembrava di dover superare ogni giorno un esame con se stessi. Poi ho capito che l'unica prova da  superare era scoprire quanto fossi forte e ho cercato di lottare con tutte le mie energie, sforzandomi di stare bene anche quando stavo male. Perché ciò che mi preoccupava di più, più della sofferenza, più del tumore, più di tutti i cicli di chemio, erano i volti dei miei genitori e dei miei famigliari stravolti dalla paura, dal dolore e dall'angoscia.
Quando cercavo di far capire loro che stavo bene e che questa storia sarebbe diventata un ricordo, i loro occhi divenivano più leggeri e insieme ad essi si alleggeriva anche il mio cuore. Quindi capii che, anche se dura, avevo intrapreso la strada giusta. Ma se dicessi che ho fatto tutto da sola sarei una gran bugiarda, perché la mia famiglia mi è sempre stata vicina e sono stata circondata da molto amore, anche in ospedale, in entrambi i reparti dove sono stata curata.
Il mio grazie va agli operatori del reparto di “Oncologia Medica A” e agli infermieri, i quali mi hanno sempre aiutata, preparandomi e  assistendomi in ogni ciclo di terapia, sostenendomi e regalandomi ogni giorno sorrisi pieni d'affetto, che riempivano il mio cuore di gioia e di speranza; grazie anche ai medici oncologici, i quali rispondevano continuamente alle mie innumerevoli
domande con estrema pazienza senza i quali non sarei viva oggi. Grazie ai chirurghi del reparto di “Ortopedia Oncologica”, per avermi regalato la cosa più preziosa al mondo, la possibilità di una vita normale e per aver estirpato il cancro dal mio braccio. E grazie agli infermieri che mi hanno assistito giorno e notte e che mi hanno regalato dei momenti di luce in un periodo così oscuro. Infine, ma non perché meno importante, vorrei ringraziare Monica , la presidente dell'associazione Rukjie-Un raggio di sole  , perché grazie a lei ho capito che se siamo disposti a lottare possiamo ottenere tutto e che vivere con un handicap è comunque vivere e non tutti sono così fortunati da poter continuare il loro viaggio.
Grazie a Monica e grazie a tutti
 
Stefania
 

 


::::::    Creato il : 21/02/2013 da Magarotto Roberto    ::::::    modificato il : 10/05/2013 da Magarotto Roberto    ::::::
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