Simonetta ( preferisce essere chiamata cosi') e Renzo
Prefazione
Nell’ambito familiare ho avuto a che fare con il cancro un po’ troppo spesso per i miei gusti: nonni e zii si susseguono in questi miei 46 anni di vita. Ma l’incontro quello più ravvicinato l’ho avuto da adulta, quando si ammalò mio padre. All’inizio la cosa partì in sordina, un tumore alla prostata diagnosticato in tempo, che mio padre rifiutò di farsi operare e preferì la strada della cura farmacologica.
Purtroppo la cosa non finisce qui. Dopo qualche anno durante un controllo si accorgono che c’è una presenza tumorale anche sulla vescica. Viene operato. Difficoltà nel periodo post-operatorio. Dopo qualche mese durante un controllo di routine, ulteriore tumore all’intestino. Altra operazione e chemioterapia che crea una neoplasia al midollo: praticamente mio padre comincia il calvario in discesa. Unica figlia femmina, due fratelli maschi più grandi di me: in definitiva sono cresciuta in un continuo conflitto nel farmi valere come “maschio” dai miei fratelli, ma per mio padre io ero la sua “piccolina” E questa piccolina assieme a mia madre e ai miei fratelli ( nei tempi e nei modi che riuscivamo a dare un aiuto) abbiamo accompagnato mio padre fino alla fine. Se dovessi immaginare una foto, vedrei io e mio papà per mano felici a passeggio in un prato con alberi di “cachi”!
A cosa serve questa introduzione? Per dirvi che anch’io sono stata operata di un cancro al cervello. Mai avrei pensato potesse succedere tutto questo anche a me e mai avrei pensato di poter reagire come sto reagendo.
La crescita di una persona e i problemi che si presentano durante la crescita stessa, è paragonabile ad una camminata in montagna partendo da uno spiazzo pianeggiante e durante il cammino la strada si fa in salita, più si va avanti e più si inerpica e poi, quando meno te lo aspetti, ti ritrovi davanti ad un bivio: da una parte la discesa e dall’altra un’ulteriore salita ancora più difficile. Il bello è che sei tu a scegliere la via da percorrere. Non è strano che alcuni vogliano continuare la salita anche se difficile ed altri preferiscano rimanere lì immobili ad aspettare che gli eventi decidano per loro. Quello che è strano è come tante cose cambino prospettiva: il tempo diventa più prezioso, i rapporti che si hanno con le persone diventano meno strutturati e molto più semplici e quello che devi dire non lo rimandi mai: anche chiedere “scusa” immediatamente o dire “ho sbagliato io” è importante. Viviamo una vita in agitazione, in continuo conflitto con il tempo e pensiamo sempre al dopo, perdendo di vista quello che stiamo facendo e le emozioni che proviamo in quel momento. Un giorno una persona mi disse questa frase che mi ha colpito: la vita è come una matassa di lana che stiamo facendo su a gomitolo, andiamo in fretta per finirla presto ma quando la lana è finita finisce tutto.
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L’idea di questo libretto nasce con nessuna pretesa, ma con l’intento di essere d’aiuto a chi l’aiuto lo vuole dare, a chi vuol comprendere più profondamente cosa può provare un ammalato oncologico e per dire a te di non mollare e se ti senti scarico e non hai più energie, confidati con chi fa il tuo stesso percorso perché la condivisione aiuta.
Simonetta
“Questo scritto lo vorrei dedicare a mio padre,
perché solo ora capisco…
e a mia madre, per tutto quello che ha fatto e continua a fare”
Mi chiamo Simonetta ho 46 anni e mi sono operata di un cancro al cervello il 14 gennaio 2010 e dopo una serie di radio terapie abbinate a chemio, mi sto sottoponendo ad un ulteriore serie di chemio… io e R. ci conosciamo da diverso tempo, non si può dire un’amicizia intima ma una piacevole conoscenza fatta di quattro chiacchere quando ci si incontrava per caso, di battute fatte al volo e nulla più.
L’attenzione di R. nei miei confronti cominciò nel periodo che iniziai una dieta controllata per perdere un po’ di peso… R un giorno mi fermò e mi chiese, in maniera dolce, come è solito fare lui, il perché di questa dieta.
Gli dissi di non preoccuparsi perché ero seguita da un dottore in bio energetica. R. comunque ribadì il suo disappunto. Un giorno però R. durante uno di questi nostri fugaci incontri, mi osservò e mi disse in maniera diretta che mi vedeva dimagrita un po’ troppo, io allora, per “non continuare” la conversazione, gli feci un grande sorriso e lo salutai.
Ci incontrammo nuovamente in dicembre e come al solito ci fermammo per scambiarci le nostre solite piacevoli battute, ma la mia non faceva ridere. Gli dissi a bruciapelo:” lo sai che a gennaio mi aprono il cranio?”
Prima di parlare dell’incontro con Simonetta, volevo scrivere qualcosa su di me…persona comune, semplice ma con i suoi difetti.
La mia paura per la sofferenza, sia fisica che psichica, è sempre stata enorme, parlare di ospedali o di ammalati, mi faceva star male al punto di inventare ridicole scuse pur di non andare a trovare un amico o un parente.
Oggi mi vergogno del mio comportamento, anche perché, a quel tempo, vivevo e partecipavo a tempo pieno alle attività all’interno della parrocchia.
Mi sentivo un vero cristiano praticante, sapevo leggere per ore,sia la bibbia che testi inerenti al tema religioso,perché dovevo spiegare agli altri come essere “partecipi” alla realtà quotidiana e alle sofferenze del “prossimo”!
Non mi accorgevo che stavo prendendo in giro me, e chi mi seguiva e che la mia era solo retorica, belle parole ma che rimanevano tali.
Dovevo cambiare la mia filosofia di vita…dovevo “sporcarmi” le mani e lasciar riposare la lingua!
Le esperienze che ho incontrate in questi ultimi anni, sono state i migliori “libri” che abbia mai letto! Quello che mi hanno insegnato le persone con le quali sono venuto a contatto, non c’è penna che lo possa scrivere ed è per questo che ora, ogni mio momento libero, sia dal lavoro che dalla famiglia, lo dedico a queste persone.
Dopo quelle parole di Simonetta a malapena sono riuscito a trattenere un’espressione poco educata, ma lo stupore era evidente. Il mio stomaco si irrigidì e il cuore aumentò i battiti, continuare a seguire il suo comportamento solare è stata una tortura. Rientrando a casa ero ancora sotto shock per quello che mi aveva detto. Decisi così di telefonare alla cugina, sua buona confidente, con la smania di sapere qualche cosa di più preciso. Lei mi confermò i miei dubbi; però la cosa era operabile, quindi, campo aperto alla speranza. Simonetta mi comunica di essere già stata ricoverata in neurologia all’ospedale civile di Venezia, a causa dei primi sintomi procurati dalla patologia in corso (perdita momentanea della sensibilità della mano e della gamba sinistra). Trascorsi dieci giorni di degenza, non trovando sufficienti risposte alle sue domande, decise di rivolgersi ad un’altra struttura. Qui il neurochirurgo, che poi seguirà Simonetta, decise la data del suo ricovero per il 15 gennaio. Dopo gli esami di routine fatti in day-Hospital, Simonetta tornò alla sua vita normale, ma verso fine dicembre i sintomi cominciano a peggiorare fino ad arrivare al 10 gennaio, dove, dopo una caduta e la perdita momentanea dello stato di coscienza e la totale perdita dell’attività motoria della parte sinistra, venne ricoverata dal pronto soccorso presso l’ultima struttura scelta da lei. Il giorno 14 Simonetta viene operata e già l’asportazione della massa tumorale che comprimeva la zona parietale destra del cervello, da modo alla sua caparbietà di reagire all’handicap e raggiungere la piena funzionalità dei due arti. Il decorso post-operatorio è ottimo, e Simonetta il 22 gennaio ritorna a casa. Quello stesso giorno ci incontriamo sempre sulla stessa strada, questa volta il suo aspetto è completamente diverso: un bel colbacco in testa e il volto che ha acquistato rotondità (non per aver smesso la dieta, ma per le dosi massicce di cortisone). Ci viene spontaneo un forte abbraccio, e già dentro di me vedevo Simonetta sotto un’altra ottica, sentivo che dovevo proteggerla… dovevo starle accanto. Mi presentai a casa sua, un sabato, senza avvisarla.
Avevo paura di un suo rifiuto, ma mi sorpresi nel notare la sua accoglienza positiva, tanto che mi spinsi a ripresentarmi più volte. Durante questi incontri Simonetta mi racconta con molta tranquillità il suo iter terapeutico, non tralasciando nessun particolare né emozione. La terapia su consiglio del neurochirurgo viene effettuata ad Aviano, però quelle nove ore giornaliere di andare e venire, mettono Simonetta a dura prova. Il viaggio non è dei più comodi: prima a piedi, poi in vaporetto fino alla stazione, il treno fino a Pordenone, il bus fino alla clinica…radioterapia… e poi ritorno, il tutto per sei settimane. Ma Simonetta è forte e affronta tutto questo disagio con grinta e caparbietà. Ora sta affrontando una serie di chemio che durerà per circa un anno, il suo volto ha già ripreso i lineamenti naturali (avendo sospeso il cortisone) e a parte qualche disagio con la terapia, il resto va bene. Viene deciso un controllo a settembre con una risonanza magnetica che verrà effettuata all’ospedale civile di Venezia. E veniamo ad oggi: mi sembrava una cosa utile, visto ormai il rapporto di fiducia nato tra me e Simonetta, creare assieme un qualcosa di concreto che potesse essere d’aiuto, di spunto, di chiarimento, a chi come Simonetta, stesse affrontando una situazione analoga e magari leggendo queste parole trovare la forza di lottare contro le proprie paure e angosce, sapendo di non essere sola/o. Perciò chiamo al telefono Simonetta, le spiego il mio progetto e le chiedo se era disposta ad affrontare insieme, in maniera completa e sincera, questo tipo di cammino. Mi risponde:”più che volentieri… dimmi tu il giorno e l’ora per incontrarci”. E ci siamo incontrati! Esposi a Simonetta i vari argomenti che avremmo dovuto approfondire e che se solo uno di questi argomenti l’avesse messa a disagio, doveva dirmelo e l’avremmo evitato. Ma non fu così… Simonetta era disponibilissima! Questa avventura… perché si è trattato di una vera e propria avventura a livello emotivo… ci ha portato ad affrontare non solo la sua parte di vissuto, ma a mettere in gioco anche il mio.
Abbiamo camminato assieme, ci siamo emozionati, abbiamo riso e abbiamo entrambi messe alla luce le nostre parti più nascoste, in maniera naturale e spontanea. Abbiamo… come dirà Simonetta:” CONDIVISO”.
R.
Quello che seguirà è il riassunto dei miei incontri con Simonetta, un susseguirsi di riflessioni che lei, in questo periodo così forte ed unico della sua vita, ha voluto condividere con me.
Durante l’esposizione di questo nostro “modesto scritto”, abbiamo dovuto rivederlo e correggerlo continuamente. Infatti a distanza di pochi giorni, le affermazioni fatte in precedenza già non erano più valide; mano a mano che si progrediva nell’affrontare lo “spessore” della malattia, la voglia di elaborarla da parte di Simonetta aumentava e quindi anche il suo modo di esporla.
R.
Devi sapere che l’operazione si è svolta in anestesia locale in quanto ero collegata con elettrodi al cervello e agli arti e dovevo interagire con un computer, questo per permettere all’equipe medica di verificare se gli impulsi del cervello arrivavano in maniera regolare. E’ logico, data la mia condizione di veglia, aver sentito il chirurgo, mentre toglieva la massa, gridare:” E’ craniale, è craniale!” e nella mia testa, oltre a pinze e mani si insinuò un pensiero: CANCRO! I giorni trascorsi in attesa del risultato istologico sono stati “piacevoli” in quanto lo staff infermieristico era sempre disponibile, gentile ed alcuni pure spiritosi. Io ero impegnata a fare la mia ginnastica di riabilitazione; dovevo assolutamente recuperare al più presto. La mia condizione di disabile, anche se momentanea, doveva essere il più breve possibile: non sopporto di dipendere da nessuno! Il giorno che mi hanno dimessa mi è stato dato il referto e certo non era dei migliori: “glioblastoma multiforme”. Però, come disse a mio fratello il chirurgo che mi ha operata:” sua sorella è fortunata (cazzo che culo!), è cistico, quindi con buone probabilità che non si riformi”. Capisci bene che la notizia non è che sia stata una novità, visto il pensiero insinuoso avuto durante l’operazione. Dopo aver “decantato” la situazione ed essere tornata a casa nel mio ambiente familiare, un sacco di domande mi si sono accavallate nella mente e ad alcune di queste ho dato delle risposte. Una cosa che non sai è che, quando ero adolescente mi chiedevo perché ero nata. Domanda semplice eh? No, non mi ero “fumata un calzino” è che mia mamma mi raccontava che dopo il matrimonio, era rimasta subito incinta, ma il mio fratellino (perché di un maschio si trattava) lo perse dopo una caduta (ed era in sei mesi). Vennero altri due maschietti e quando arrivai io, mia mamma era già sull’orlo di un esaurimento e il medico disse che il quarto era meglio che “se lo facesse mio papà”.
Allora il mio fratellino mi aveva lasciato il posto! Perché? Cosa dovevo fare di così speciale? Niente fidanzato, niente figli…. quindi? Ecco cosa dovevo fare: concentrarmi in questo momento così delicato della mia vita a guarire senza preoccuparmi di una famiglia mia, essere figlia o sorella non è come essere moglie o madre. Non è che queste cose le racconto a tutti, sono pensieri che ho sempre tenuto per me. Quella che invece non ho tenuta per me è stata la notizia del mio cancro (che da questo momento chiamerò “signor Glio”); infatti appena arrivata a casa ho cominciato a parlarne con una disinvoltura quasi esagerata (forse lo era?) perchè il ricordo dei discorsi che sentivo fare dagli adulti quando ero bambina, cominciavano ad avere un significato che mi toccava da vicino. Non si nominava MAI tumore e tanto meno cancro ma si usava dire “un brutto male”; non per questo la malattia era meno pericolosa. Però, cosa vuoi, non a tutti piace il mio essere diretta, però almeno evito di ritrovarmi davanti persone che tengono di più alla forma che ad un sincero interesse sulla mia persona. Pensa, ho un’amica che è in analisi da un po’ di anni, ed è gelosa del fatto che mi confidi con te, perché pensa di essere più adatta e preparata, “in quanto ormai esperta in psicologia”, ad accogliere le mie emozioni riguardo al “ signor Glio”. Ritengo che una persona come lei, non sia una buona ascoltatrice, cosa invece di primaria necessità per chi come me ha un bisogno, oserei dire quasi fisico, di parlare senza che il tuo interlocutore sia qualcuno che ha solo voglia di dare la sua opinione riguardo a me e a quello che sto vivendo… ascoltare è difficile e tacere lo è ancora di più. Ci si guarda intorno, ci sono un sacco di persone, ma chissà perché non sempre è la tua migliore amica/o che scegli, ma è la persona che in alcuni momenti si è dimostrata disposta a condividere con te tutto, senza remore e senza limiti. L’ASCOLTO è un dono che non tutti hanno ma che se si ha la fortuna di trovare in una persona che ti sta accanto è come avere una mano tesa che ti sosterrà in qualsiasi momento.
Mia madre fin dall’inizio è stata una mano tesa, ma non ho voluto aggrapparmi a lei per non farla soffrire ancora di più di quello che aveva già sofferto, ricordandosi il recente passato di mio padre. All’inizio subiva le mie sfuriate ma poi mi sono data una calmata. Solo con uno dei miei fratelli mi sono lasciata andare una sera in un pianto di rabbia: ero in camera mia e stavo meditando sul fatto di lasciare una sorta di testamento biologico: già mi vedevo incapace di muovermi in maniera autonoma, incapace di parlare e mia madre che mi accudiva!!! Mio fratello mi spiegò che in Italia quel tipo di testamento non era valido. Ho pianto! Cazzo se ho pianto! Perché delle persone estranee potevano decidere sul come avrei dovuto affrontare il MIO fine-vita?
Pensa che mi hanno chiesto se mi sono mai posta la domanda: “perché io e non un altro?” Sarebbe come augurare del male a qualcuno, cosa che non è nel mio carattere. Ti puoi porre domande più esistenziali e darti delle risposte più o meno ovvie: quello a cui non mi so dare una risposta riguarda i bambini. Perché i bambini si ammalano di cancro? Lasciamo da parte il concetto cristiano dove si dice che la vita è data da Dio e che ci viene dato il dono della libertà di come viverla. La domanda nasce spontanea: come può un bambino di quattro anni scegliere … che ne so…la leucemia? Non riesco ad accettare frasi fatte, non riesco ad accettare le risposte che ti possono dare certi preti, laici e compagnia cantante! Il mio parroco ogni volta che mi incontra mi chiede “ come stai?” con la testa inclinata…sai….come se in quella posizione la compassione fosse più evidente. Io lo guardo, gli sorrido e gli dico “COME DIO VUOLE”. E’ per questo che non ho una persona del genere vicino, a parte te, a cui confido tutte le mie ansie, paure, stati d’animo. Perché, primo, non voglio scaturire la compassione di nessuno chiunque esso sia e secondo, non voglio perdere la mia positività che ho e che uso per combattere il “signor Glio”.
Tra le tante cose con cui devo fare i conti in questo periodo c’è anche lo specchio e l’immagine riflessa di quella che dovrei essere io. Io sono sempre stata una persona “in carne”, cioè con i miei chili di troppo ancorati su di me. Dai 18 anni in poi ho vissuto di diete. Dimmene una?......Fatta! Scarsdale, a punti, a zone , quella francese, quella dissociata ecc. ecc. L’ultima, che è quella che conosci e che hai già espresso il tuo disappunto, si basa sulla tolleranza alimentare; mangiando pesce, verdura, frutta qualche tipo di carne e pasta di farro ho perso 10 kg. Finalmente mi piacevo ed ero arrivata a pensare che ora potevo interessare anche al mondo maschio. Ma ecco … tutto ad un tratto “la disfatta”: il cortisone ha fatto il suo lavoro e oltre ad aver preso peso ci si mette pure il gonfiore. E vogliamo parlare dei capelli? Io li ho sempre portati lunghi e li ho sempre curati perchè erano belli: sempre piastra per lisciarli, prodotti per renderli lucenti e morbidi e ore spese per la messa in piega! Ora: corti, brizzolati e dove sono stata esposta alla radio terapia sono ricresciuti, ma sottili. Se un anno fa non mi sarei mai mossa da casa in queste condizioni, ora mi ritrovo a dire “chi se ne frega”, ma per arrivare a questo ho dovuto metabolizzare. Ora riesco a truccarmi, cerco di vestirmi bene, ma all’inizio non è stato facile guardarsi allo specchio e vedere dove prima c’era una faccia, trovarne due! Ma non demordo. Voglio tornare ad essere quella di prima, solo che ci arriverò con calma senza fretta e soprattutto lo farò per me stessa e non per gli altri.
Oltre ad aver cambiato il mio aspetto fisico, mi sono accorta di essere cambiata anche nel mio modo di esprimermi e di come guardo gli altri; sono più diretta, questo perché voglio che gli altri vedano in me una persona forte e che qualsiasi ostacolo mi si ponga davanti sarò in grado di superarlo. Mi sono accorta che sono molto più attenta al prossimo, non mi soffermo sull’esteriorità della persona, ma mi ritrovo a pensare se chi mi siede vicino in autobus, stia bene come sembra oppure sia ammalato come me.
D’altronde, tutti mi dicono :“ti vedo bene, non si direbbe che stai male”, come se il “signor Glio” fosse un banale raffreddore. La gente si sofferma sempre sull’esteriorità: sei pallida, hai gli occhi pesti, hai un fazzoletto in testa? Allora si che hai il cancro! E così mi sono detta: “Simo non fermarti mai alla prima impressione”. Per fortuna mi ritrovo sempre a cercare di vivere una vita normale con impegni lavorativi e personali. Cambia il valore che si da al tempo: un minuto o un’ora non sono più uguali a prima; e anche fare progetti ha la sua importanza, per dare un senso più ricco ai giorni che passano. E’ vero, a volte il pensiero di riuscire a portare a termine un qualsiasi progetto prende il sopravvento, ma lo scaccio via subito. Vuoi sapere quali sono i miei progetti che sto portando a termine? Guarire, finire il restauro della mia casa tornandoci presto a vivere da sola e finire i decori per il mio albero di Natale. Non saranno gran che (a parte il guarire che è di primaria importanza) ma sempre progetti sono! A volte mi prende la tristezza, ma non riesco a piangere, ho sempre bisogno di uno stimolo esterno. Fino ai dieci anni ero una bambina vivace e molto estroversa, un po’ “rompi”, come diceva la mia maestra. Quando sono andata alle scuole medie e poi alle superiori, ecco il cambiamento : mi sono chiusa in me stessa e non avevo amici. Perché? Questo immagino te lo saprebbe dire uno psicologo dopo ore ed ore di sedute. Quello che posso dire io è che dagli undici anni in su, è stato tutto un essere esclusa dalle persone che credevo amiche, perché c’era una forma di invidia o gelosia….che ne so! Se avessi cominciato a piangere in quel periodo, avrei disboscato la foresta dell’amazzonia per tutti i fazzolettini di carta che avrei usato. A quel tempo tenevo tutto dentro, non vedevo nessuno, così nessuno mi avrebbe escluso e i miei pianti me li facevo guardando quei bei film strappa lacrime! Non pensare che la cosa sussista ancora. Per fortuna a 20 si sono aperte le porte delle emozioni e ho fatto di tutto e di più per recuperare il tempo perso. Pensa che sto ancora recuperando!... E quello che recupererò, finito anche questo momentaccio!
Questo “momentaccio”, non è altro che il percorso a due che sto facendo con il “signor Glio”. Fino ad oggi non ho voluto dargli un volto, l’ho sempre sentito dentro di me… ma che non fa parte di me! Che questo voglia dire aver paura? Mi ricordo la prima visita con l’oncologo, pensai di chiedergli quali erano le percentuali di guarigione, poi mi sono detta : “Cambia qualcosa?” Avevo paura di aggrapparmi alla parte negativa della risposta , questo mi avrebbe portato sicuramente alla depressione e così non avrei potuto affrontare la terapia con l’impegno che invece ho avuto e continuo ad avere. Ho fiducia nella buona riuscita, ma non tutti i momenti sono positivi, però accetto anche i momenti difficili perché pure loro fanno parte del percorso. In questi momenti mi ritrovo a pregare il mio angelo custode. Non so se è un fattore psicologico o che altro ma, quando lo faccio, mi sento come se qualcosa mi penetrasse in tutto il corpo e una forma di pace e serenità prendesse possesso di tutta me stessa. Io sono cresciuta in una famiglia credente e praticante fino a quando un frate, durante la confessione, mi fece delle domande un po’ troppo curiose riguardo il mio rapporto con l’altro sesso. Io manco lo vedevo come l’altro sesso! Erano bambini con cui mi trovavo bene a giocare visto che le femminucce mi scaricavano sempre. Così ho avuto una pausa! Ho ricominciato a frequentare la parrocchia a 20 anni: altra età, altri “problemi” altro modo di vedere le cose….altro modo di dialogare con Dio. Non volevo nessun interlocutore; rapporto diretto, una forma di rispetto del mio comportamento nei suoi riguardi. Ora non nego che mi ritrovo spesso a parlare con Lui a chiedergli non il perché, ma almeno se questa prova andrà a buon fine. Non ho avuto ancora una risposta…ma io aspetto! E mentre aspetto nella mente mi si accavallano mille pensieri. Tra questi c’è anche la morte. Una volta durante le nostre chiacchere si parlava sul comprendere ed accettare la malattia e io ti dissi che non riuscivo a capire il perché il cancro lo avessero pure i bambini e che la morte di un bambino non aveva nessuna spiegazione. Tu mi hai chiesto “ secondo te qual è l’età giusta per morire?”
Non ti risposi subito ci pensai e poi ti dissi: “la mia età”. Perché secondo me avevo vissuto metà di una vita ( la più bella). Ora, non dico che il mio pensiero sia cambiato (riguardo i bambini) ma diciamocelo, più il tempo passa e più mi ritrovo a ringraziare Dio per ogni giorno di vita che mi da e lo faccio ogni sera prima di addormentami. E’ a Lui che rivolgo il mio ultimo pensiero della giornata con un “Padre Nostro”.
In questo momento non voglio pensare alla morte, non mi sento pronta ad affrontare l’argomento. Il fatto di essermi candidata e poter essere eletta non mi tranquillizza, anzi, mi agita e molto. Mi aiuta a non pensarci la routine di tutti i giorni: andare al lavoro, i nostri incontri, i restauri della mia casa….e la voglia di VIVERE!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
CONCLUSIONE
Simonetta mi ha affidato il compito di dire qualche parola per conclude-
re questo nostro lavoro…ma non è finito!
Abbiamo soltanto aperto una finestra sul vasto mondo delle emozioni
che accompagnano giorno dopo giorno chi sta convivendo con una realtà come quella di Simonetta.
Chiunque avrà la voglia o il desiderio di leggere questo nostro libricino,
troverà alla fine alcune pagine bianche, perché abbiamo pensato che il lettore potrebbe avere il desiderio di aggiungere qualche sua riflessione, qualche emozione e perché no…qualche critica.
Posso aggiungere soltanto che per me, stare accanto a Simonetta è stato un onore e un immenso piacere, e se lei lo vorrà, continuerà ad esserlo, perchè la sua serenità e solarità ha fatto in modo che alla fine non era lei ad essere sostenuta da me, ma io da lei.
R.
Ho sognato che camminavo in riva al mare con il Signore
e rivedevo sullo schermo del cielo tutti i giorni della mia vita passata.
E per ogni giorno trascorso apparivano sulla sabbia due orme:
le mie e quelle del Signore.
Ma in alcuni tratti ho visto un sola orma.
Proprio nei giorni più difficili della mia vita.
Allora ho detto: “Signore, io ho scelto di vivere con te
e tu mi avevi promesso che saresti stato sempre con me.
Perché mi hai lasciato solo proprio nei momenti difficili?
E lui mi ha risposto: “Figlio, tu lo sai che ti amo
e non ti ho abbandonato mai:
i giorni nei quali c’è soltanto un’orma nella sabbia
sono proprio quelli in cui ti ho portato in braccio”.
:::::: Creato il : 16/03/2012 da Magarotto Roberto :::::: modificato il : 16/03/2012 da Magarotto Roberto ::::::