Davide Petruzzelli ( qui con la moglie Anna )
fondatore dell'associazione nata nel 2000 La lampada di Aladino di Brugherio
che coordina splendide iniziative per l'informazione , il supporto nella diagnosi, l'assistenza nelle cure ai malati oncologci
piu' di 20 anni fa ha superato un linfoma di Hodgkin
e qui ci racconta la sua esperienza decennale di guarito, alle prese con le reazioni delle persone care e degli altri,
e la sua determinazione a mostrare a chi incontra comunque un sorriso , che nasce dalla forza di chi crede nella vita
Il sorriso. Il sorriso spontaneo e sempre presente sul mio volto, che mi ha quotidianamente accompagnato nei lunghi mesi delle cure e che probabilmente ha contribuito al buon esito delle terapie.
Il sorriso che mi dava forza, per affrontare meglio e con rinnovata tenacia l’inizio di ogni nuovo ciclo di chemio, e sono stati davvero tanti.
Ma lo stesso sorriso ha generato fraintendimenti (e dire fraintendimenti è un eufemismo) nelle persone che, almeno così immaginavo, avrebbero dovuto essere vicine nell’avventura.
E così è capitato per caso che sentissi la frase pronunciata da un amico, pensando di non essere sentito, a mia moglie in cucina, “Ma tuo marito ha capito che cos’ha?”; oppure un’altra frase, diventata storica, pronunciata da mia cognata “Ma dai, la tua malattia in fondo non è nulla di grave!” confrontando il mio percorso con quello di un altro malato; o quella di un collega che al termine di un incontro di lavoro, uscendo commentò con un altro collega “Chissà se lo vedremo ancora…”; e ancora le visite di cortesia alla fine del mese di luglio prima di partire per le vacanze, giusto per sentirsi a posto nel caso fosse successo qualcosa nel periodo vacanziero; la quantità industriale di telefonate, alle quali, come se avessi un disco incorporato, rispondevo ovviamente sempre le stesse cose, anche in questo caso spesso più per mettere al riparo le proprie coscienze che per dare un sostegno; le 6 visite complessive in ospedale che ho ricevuto dalla mia famiglia d’origine e acquisita (papà, mamma, sorella – suocero, suocera, 2 cognate, 2 futuri cognati) in quei ricoveri che ogni 30 giorni circa me ne facevano trascorrere 10 o 15 in ospedale; o la solita frase di chi non trovava la forza di venirmi a trovare “Non ce la faccio a vederti in quello stato” ma Dio solo sa quanto avessi bisogno di vedere e parlare con persone; significativo anche il ricordo delle scintigrafie con gallio che, a causa del tracciante che mi veniva iniettato, potenzialmente rischioso per la mia piccolissima Alessia, mi metteva nella condizione di “inospitabile” e pertanto… obbligato a passare lunghe e tristi notti solitarie in albergo, per non parlare di quando si toccava l’argomento soldi, assistevamo alla gara di chi cambiava discorso per primo, visto che l’unica che lavorava in famiglia era mia moglie e i soldi non bastavano, con 50.000 lire (già, c’erano ancora le care e vecchie lire) bisognava fare la spesa della settimana, comprare vestiti e pannolini per mia figlia, pagare il mutuo. Comprare un dolce per la domenica era un lusso che raramente ci potevamo permettere…
Quante umiliazioni, quante pene da sopportare oltre a quelle che già la malattia aveva portato con sé, probabilmente anche per quel sorriso permanente che offuscava la realtà.
Ma la sofferenza più grande era guardare negli occhi Anna, mia moglie, che malgrado tutto doveva tirare avanti la carretta, come si usa dire. Occhi che di fronte a frasi stupide avrebbero voluto piangere, occhi che avrebbero voluto vedere amici e familiari più vicini alla nostra sofferenza e soprattutto in un modo diverso, occhi che incontrando quelli di mia figlia Alessia, nata da poco, faticavano a sorridere provando a pensare a un futuro, occhi che avrebbero voluto riempirsi di lacrime di gioia se qualcuno avesse condiviso con lei a casa sua e non tra un’ospitata e l’altra, i tantissimi e lunghi giorni in cui ero ricoverato,…
Un lavoro con orari difficili, una bambina piccola, il nido, un marito con il cancro, una famiglia che nella buona fede crede di aiutarti ma in realtà lo fa poco e male, e così capitava di frequente che fossimo noi due, insieme a nostra figlia, abbracciandoci con il sorriso, a trovare le energie necessarie per affrontare il giorno successivo, in attesa che l’avventura finisse. E finì. Tramutandosi infine in tante cose belle, così come scrive Anna nella poesia sul sito della Lampada.
Tutto il mio iter terapeutico senza Anna e poi Alessia, non so se sarebbe andato così. Non credo.
Anna, una donna che ha dovuto sperimentare molto nella vita, troppo a volte, e per questo frequentemente non viene compresa proprio da quei familiari e amici che avrebbero dovuto sostenerla nella difficoltà e oggi la vedono “diversa”.
Una donna che sta “tre metri sopra il cielo” parafrasando un famoso film, e che ringrazio Dio di avermela fatta incontrare e avermi dato l’opportunità di condividere con lei la mia esistenza terrena.
Passo gran parte della mia vita a confrontarmi con il mondo scientifico, con l’evidenza, con le misurazioni, ma alla fine credo che l’amore possa fare di più e meglio, e mia moglie Anna è la prova provata di quanto dico.
Infine riguardo al sorriso… Il sorriso che, grazie al cielo, ha anche fatto avvicinare persone capaci di comprenderlo. Il sorriso che è servito ad affrontare più serenamente la malattia, a volte pagando il prezzo delle delusioni raccontate, ma che se mi dovesse ricapitare un’esperienza simile, adotterei ancora in tutto e per tutto.
Davide
Gennaio 2015
:::::: Creato il : 02/02/2015 da Magarotto Roberto :::::: modificato il : 02/02/2015 da Magarotto Roberto ::::::