UN MESE DALLA SCOMPARSA - Oggi è la fine dello sheloshim, il lutto nell’ebraismo, per il mio amato marito — i primi trenta giorni. Un amico d’infanzia che è un rabbino mi ha detto una delle frasi più belle che potesse dirmi: “Non farmi morire mentre sono ancora vivo”.
TROVARE UN SIGNIFICATO - “Prima di perdere Dave non avrei mai capito questa preghiera. Ora credo che quando ti capita una tragedia ti si presenta anche una scelta. Puoi abbandonarti al vuoto che riempie il tuo cuore, i tuoi polmoni, che ferma la tua capacità di pensare e di respirare. O puoi trovare un significato. In questi ultimi giorni ho passato tanti momenti nel vuoto. E so che in tanti momenti futuri sarò consumata dalla vasta immensità del vuoto. Ma quando potrò, voglio scegliere la vita e il suo significato. Questo è il motivo per cui scrivo: per segnare la fine dello sheloshim e ridare agli altri quello che alcuni hanno dato a me.”
I VERI AMICI - “Il lutto è un’esperienza personale, ma il coraggio di quelli che lo condividono è stato fondamentale per me. Chi ha aperto il suo cuore è stato un vero amico. Gli altri sono stati dei completi sconosciuti, che hanno condiviso saggezza. Per questo racconto quello che ho imparato in questo mese, nella speranza di aiutare qualcuno altro.”
IL DOLORE DI UNA MADRE - “Nella speranza che ci sia del significato in questa tragedia. Ho vissuto 30 anni in questi 30 giorni. Sono 30 anni più triste. Ma sento di essere anche 30 anni più saggia. Ho capito più profondamente cosa voglia dire essere una madre, sia per la profondità del dolore che sento quando i miei figli urlano e piangono, sia per la connessione che ha mostrato mia madre alla mia pena. Ha cercato di riempire il posto vuoto nel letto, stringendomi forte ogni notte finché non mi addormentavo dal tanto piangere. Ha combattuto le sue lacrime per fare spazio alle mie. Mi ha spiegato che l’angoscia che sento è sia la mia che quella dei miei figli, e ho capito che aveva ragione mentre guardavo il suo dolore negli occhi”.
BISOGNA ACCETTARE CHE NON VA TUTTO BENE - “Ho imparato che prima non sapevo cosa dire alle persone che avevano bisogno. Mi sbagliavo sempre; cercavo di rassicurare le persone dicendo che sarebbe andato tutto bene, pensando che la speranza fosse la cosa più di conforto che potessi offrire. Un mio amico malato di cancro in fase terminale mi ha detto che la cosa peggiore che una persona ti può dire è “andrà tutto bene”. La voce nella sua testa urlava quando sentiva quelle parole, Come fai a sapere che andrà tutto bene? Non capisci che potrei morire? Ho imparato in questi 30 giorni quello che cercava di insegnarmi. Qualche volta, la vera empatia non è insistere che andrà tutto bene, ma accettare che non va tutto bene”.
GIORNO PER GIORNO - “Quando la gente mi dice “Tu e i tuoi bambini troverete la vostra felicità,” il mio cuore dice Sì, ci credo, ma so che non proverà mai più gioia pura. Quelli che mi hanno detto, “Troverai una nuova normalità, ma non sarà più così bella”, mi confortano di più perché so che parlano della verità. Anche un semplice “come ti senti?”, di solito chiesto con le migliori intenzioni, è meglio rimpiazzarlo con un “Come va oggi?”. Quando mi chiedono come stai, mi fermo dall’urlare, come pensi che stia? Mio marito è morto un mese fa. Quando sento un “Come stai oggi” capisco che la persona sa che quello che sto facendo è andare avanti giorno per giorno”.
HO IMPARATO A CHIEDERE AIUTO- “Ho imparato che tutto può essere effimero o che forse lo è. Che il tappeto su cui sei in piedi può essere sfilato da sotto di te senza alcun preavviso. Negli ultimi 30 giorni, ho sentito molte donne che hanno perso il loro compagno parlare di molti tappeti tolti. Mancanza di supporto e stress emotivo, difficoltà finanziarie. Mi sembra così sbagliato abbandonare queste donne e le loro famiglie quando vivono un momento di così grande necessità. Ho imparato a chiedere aiuto, ho imparato che ho bisogno di tanto aiuto. Fino a questo momento sono stata la sorella maggiore, la persona che fa, la pianificatrice. Non avevo pianificato la morte di Dave, e quando è successo non sapevo proprio cosa fare. Le persone vicine mi hanno guidata. Hanno pianificato. Hanno sistemato. Mi hanno detto dove sedermi e mi hanno ricordato quando mangiare. Stanno ancora facendo tanto per me e i miei figli”.
CANCELLARE LA PAROLA SCUSA- “Adam M. Grant mi ha insegnato che ci sono tre cose che rendono difficile essere resilienti e che posso lavorare su tutte e tre. Realizzare che non è colpa mia. Mi ha insegnato a cancellare la parola “scusa”, di continuare a ripetermi non è colpa mia. Ricordarmi che non mi sentirò così per sempre. Che andrà meglio. E che questa cosa non ha effetto su tutta la mia vita; l’abilità di ragionare a scompartimenti separati è sano. Per me, tornare al lavoro è stato salvifico, un’opportunità per riconnettermi. Ma ho scoperto che anche quelle connessioni sono cambiate. Molti dei miei colleghi mi guardano con paura. So il perché — volevano aiutarmi ma non sapevano come. Dovrei dire qualcosa? Dovrei stare zitto? E se lo dico, cosa cavolo dico? Ho capito che per riconnettermi con loro li devo lasciare entrare”.
FATEMI DOMANDE- “E questo vuol dire essere più aperta e vulnerabile di quello che avrei mai voluto essere. Ho detto alle persone che lavorano vicino a me di farmi pure domande. Ho anche detto che potevano dirmi cosa provavano. Una mia collega ha ammesso che spesso passa con la macchina davanti a casa mia e non sa se bussare alla porta. Un altro ha detto che si sentiva paralizzato quando ero vicino, aveva paura di dire le cose sbagliate. Parlare apertamente aiuta”.
IL VALORE DELLA GRATITUDINE- “Ho imparato la gratitudine. La gratitudine vera per le cose che prima davo per scontato— come la vita. Col cuore spezzato, guardo i miei figli ogni giorno e ringrazio che siano vivi. Apprezzo ogni sorriso, ogni abbraccio. Non prendo più ogni giorno per scontato. Quando un amico mi ha detto che odia i compleanni e per questo non li celebra, gli ho detto in lacrime “Cavolo, festeggia il tuo compleanno. Sei fortunato ad averne uno” Il mio prossimo compleanno sarà tristissimo, ma sono determinata a festeggiarlo più che mai”.
CAMBIARE OPZIONI- “Stavo parlando con un amico di tutte quelle attività tra padre e figlio che ora che Dave non c’è non può più fare. Abbiamo trovato un piano per sopperire almeno un po’ a questa mancanza. Ho pianto e gli ho detto, “Io voglio Dave. Io voglio l’opzione A.” Mi ha messo un braccio intorno alle spalle e mi ha risposto che “L’opzione A non è disponibile. Quindi cerca di tirare fuori le palle e prendere il meglio dell’opzione B.””
LA PROMESSA- “Dave, in onore della tua memoria e per crescere i tuoi figli come meritano di essere cresciuti, ti prometto che farò di tutto per tirare fuori le palle e prendere il meglio dall’opzione B. Anche se lo sheloshim è finito, continuerò a piangere per l’opzione A. Sarò sempre in lutto per l’opzione A. Come canta Bono, “Non c’è fine al dolore . . e non c’è fine all’amore”. Ti amo, Dave”.