fonte : la stampa.it
Almeno 100 milioni per stanare l'amianto
il materiale che uccide i polmoni lasciato a Casale.
Il medico:
"E' come disinnescare bombe"
ALBERTO GAINO
torino
Governi e Regione Piemonte ci hanno messo 37 milioni di euro, il Comune di Casale Monferrato 8, altri 6 milioni sono arrivati per la rimozione del pericolo maggiore: il polverino, cioè lo scarto della tornitura dei tubi fabbricati con l’amianto. Per le bonifiche già programmate nel solo Casalese ne chiedono almeno una trentina. Ma ogni anno arrivano dai residenti della zona nuove segnalazioni di siti contaminati. Alla fine, potrebbero non bastare cento milioni per stanare da sottotetti, pavimenti, cortili, aie, strade, campi di calcio, oratori… le fibre del minerale che uccide i polmoni lasciate dall’Eternit in eredità alla sola Casale, dove l’insegna della multinazionale campeggiava su uno stabilimento, dava lavoro a operai e pane alle loro famiglie, aspettando di portar loro anche morte. Chiuse le fabbriche della multinazionale, fallita la sua holding italiana, si è cominciato a fare i conti con la strage silenziosa, e adesso, quasi vent’anni dopo, si sta celebrando il processo ai vertici Eternit per l’accusa di disastro doloso. Più grave dove l’amianto ha contaminato, dopo la fabbrica e la salute dei suoi dipendenti, anche l’ambiente esterno. I costi delle bonifiche di cui non si intravede la fine rendono il senso economico della devastazione. Dietro spunta il resto, molto più drammatico.
Angelo Mancini, un omone con la voce soffocata dai postumi di un recente intervento chirurgico, è il medico che per 25 anni è stato il responsabile della medicina del lavoro all’Asl di Casale, la trincea più avanzata nella lotta alle sottilissime fibre d’amianto che hanno contaminato l’ambiente casalese e che ancora oggi fanno una cinquantina di morti l’anno. I giudici del processo Eternit l’hanno chiamato a testimoniare dopo aver deciso di integrare l’istruttoria dibattimentale in attesa di decidere se disporre o meno una perizia epidemiologica (chiesta dalla difesa degli imputati). Il dottor Mancini racconta la storia dell’amianto nascosto come «tante bombe da scovare e disinnescare». E verso la fine della sua deposizione, allungando una sequenza di fotografie, rende il senso più grave del disastro: «Abbiamo raccolto questa documentazione nel predisporre la bonifica dello stabilimento casalese dell’Eternit. In ogni reparto di produzione abbiamo rinvenuto una gran quantità di sacchi pieni di polverino. Molti erano squarciati, aperti. I vecchi ambienti di lavoro non avevano più vetri, finestre e porte erano aperte. Abbiamo trovato locali murati, pieni di polverino. In un capannone adiacente a quello principale, bonificato e ristrutturato prima degli altri per essere riutilizzato, nel rompere un muro per ricavarvi un ingresso si sono scoperti sacchi di polverino nelle intercapedini». Un altro pezzo d’eredità Eternit. Finito di bonificare cinque anni fa. Bassa e atona, la voce di Mancini sembra tuttavia un martello pneumatico: «Di tutti gli scarti di lavorazione dell’amianto il polverino è il più pericoloso. Corrisponde alla fibre più sottili e piccole, che sono anche le più respirabili». L’Eternit lo regalava, non sapendo che farsene e dovendo smaltirlo, con i costi che aveva, anche se lo si abbandonava in discariche abusive, nella spiaggetta sul Po: 4500 metri quadrati, profondità da uno a cinque metri, «messi in sicurezza» sull’argine del fiume con una scogliera artificiale a confinarlo sotto una copertura di cemento armato. A Casale e dintorni, gli operai-contadini, laboriosi più che altrove ,passavano con il carretto a ritirarlo. «Costava niente – incalza Mancini – ed era utile. Fu messo persino nel cortile del Castello di Casale, che era di acciottolato, ci si camminava su con disagio e il polverino bagnato serviva bene allo scopo di riempire i buchi, di livellare il battuto». La stoccata: «L’azienda lo dava via e sapeva cosa dava via».
C’è pure un’altra dimensione del disastro che spunta dal suo efficace racconto (per l’accusa). Succede quando gli chiedono delle conduttore dell’acquedotto, se siano anch’esse da bonificare: «Centinaia di chilometri, una spesa impossibile. Anche perché c’è l’evidenza scientifica che l’acqua inquinata porterebbe molti casi di neoplasie del tubo digerente. Si avrebbero ovunque, non solo a Casale, dove l’eccesso di tumori registrato colpisce i polmoni. Ma – aggiunge il dirigente sanitario - abbiamo disposto che non si effettuino più riparazioni parziali. Le misurazioni sugli operai che segavano parti di tubazioni dell’acquedotto hanno rilevato la dispersione di 40-50 mila fibre per litro». Il dottor Mancini aveva ricordato poco prima: «L’Organizzazione mondiale della sanità, l’Oms, aveva stabilito come non pericolosa per la salute una concentrazione di una fibra per litro». Ci si può fare una chiara idea di quanto rischiassero gli operai Eternit addetti alla tornitura dei tubi, malgrado le rassicurazioni – tanto più stridenti perché puntualmente eccessive – di testi e consulenti della difesa di Stephan Schmidheiny.
Un consulente tecnico della difesa, il professor Canzio Romano, aveva messo in dubbio il rigore scientifico dei riconoscimenti di malattia da parte dell’Inail, adombrando una certa generosità dell’ente pubblico dettata da motivazioni sociali. Ha poi smentito per non smentire. Era anche consulente dell’Inail e adesso ci si domanda se si era espresso in certi termini per conoscenza diretta, dall’interno del sistema assicurativo. L’Inail ha rinunciato alla sua collaborazione e ha chiesto che venisse sentito un suo dirigente medico, la dottoressa Angela Goggiamani. Che ieri in aula è stata netta: «Negli anni 70 riconoscevamo una percentuale molto bassa di casi di malattia professionale collegati all’asbesto. Con l’evoluzione della scienza medica siamo arrivati a quote dell’80 per cento per i mesoteliomi e del 74 per cento per le altre malattie correlate all’amianto. Prima si cercava di individuare la certezza del rapporto causale con il tipo di lavoro. Dopo le sentenze della Cassazione, si è passati ad una probabilità qualificata dell’evento. Anche il principio dell’equivalenza causale, per esempio l’incidenza del fumo di sigaretta, ha contribuito. Margini di errori possono sempre esservi sui singoli casi e proprio per questo abbiamo una trentina di convenzioni con laboratori universitari per gli accertamenti diagnostici specialistici». La clinica universitaria del lavoro di Torino, diretta dal professor Romano, è referente Inail per i casi di Casale Monferrato. Guariniello non si lascia sfuggire l’occasione per pronunciare una domanda di cui conosce già la risposta. La porge al terzo testimone di giornata, l’architetto Piercarla Coggiola, dirigente del servizio tutela ambiente del Comune di Casale: «L’Eternit vi ha mai contattato per contribuire alla bonifica?». La risposta è brevissima: «No».
:::::: Creato il : 12/02/2012 da Magarotto Roberto :::::: modificato il : 01/03/2012 da Magarotto Roberto ::::::