Lettura per l'inverno .....
TOMAS TRANSTROMER da giovane ( Premio Nobel per la letteratura 2011)
Sfere di fuoco
NNNei mesi oscuri la mia vita scintillava
Nei mesi oscuri la mia vita scintillava
solo quando ti amavo.
Come la lucciola si accende e si spegne, si accende e si spegne,
-dai bagliori si può seguire il suo cammino
nel buio della notte tra gli ulivi.
Nei mesi oscuri l'anima stava rannicchiata
e senza vita
ma il corpo veniva dritto verso di te.
Il cielo notturno mugghiava.
Furtivi mungevamo il cosmo e siamo sopravvissuti.
Il silenzio di Tomas Tranströmer
di Andrea Galgano
Il premio Nobel per la letteratura Tomas Tranströmer (1931) nato a Stoccolma, ha riportato al territorio poetico questo prestigioso riconoscimento, dopo l’ultimo nel 1996, vinto dalla grande poetessa polacca Wislawa Szymborska.
Poesia densa e concisa, che nella vividezza limpida delle sue immagini, abita la tradizione della sua terra (e per questo spesso è stato accusato di eccessivo attaccamento alla contiguità alla tradizione), ma anche il processo semantico delle corrispondenze baudelairiane e la visione di T. S. Eliot.
Le forme e i legami con la classicità vivono il mondo della metafora, come un attracco e un confine, allo stesso tempo.
Il limite anche tra elementi, confluisce nelle sue immagini, come il sentiero di una dissoluzione di tratti e barriere.
La metafora, pertanto, è in poesia ciò che forma il movimento della descrizione e della messa a fuoco.
L’alce, la poiana, sono solo alcuni degli abitatori del suo orizzonte cosmico, fatto di congiunzioni, di sovrapposizioni e soprattutto di tinte limpide.
Le sue poesie sono disegni, che nello sguardo dell’uomo-poeta risultano vere e proprie inner-visions e scompaginamento di territorio e realtà.
La magia della sua poesia ha il suo nucleo nella realtà che parla attraverso il suo silenzio e che nell’essenzialità scorge la sua strategia di tensione, la precisione meravigliosa.
Colpito da ictus nel 1990, sperimenta l’afasia, ma non la rottura di voce che non può e non riesce a spegnere e sceglie maggiormente l’essenziale, come porta sul cosmo e radice di forma.
Scrive Maria Cristina Lombardi che ha curato una splendida edizione antologica per Crocetti: “Leggere una sua poesia non è un percorso lineare: è come entrare in una labirintica chiocciola. La concentrazione dei concetti in immagini conduce alla contrazione degli elementi connettivi, dei passaggi logico-sintattici, alla prevalenza dei sintagmi nominali. La capacità di realizzare densità poetica non è in Tranströmer tanto imputabile alla parola, al singolo lessema semanticamente pregnante, ma alla rete capillare di nessi che vengono a stabilirsi tra le parole”.
E poi il silenzio. Il silenzio che invade la sua opera ha una lingua, una ricerca inestinguibile e luminosa, come gli anemoni ad esempio.
La pausa del testo, gli interstizi sono il privilegio dell’enigma.
«Stanco di chi non offre che parole, parole senza lingua/ …/ Scopro orme di capriolo sulla neve. / Lingua senza parole».
Il suo paesaggio, pertanto, ha la sfera nordica del cielo che “munge il cosmo” con le sue «sfere di fuoco», e si inoltra nella tela dell’invisibile, in cui il quotidiano e la natura si mischiano come baluginii momentanei e prigioni.
I suoi ultimi testi hanno il colore grigio come i suoi cieli, dove il mare combatte la sua eterna lotta di onde tra morte e vita, labirinti e isole.
Il profondo, lo spazio del telaio dell’istante si anima nei sussurri del silenzio, nelle sue spirali, dove l’io proclama la sua presenza attonita e viva, seppur permeata da una fessura di dolore nella carne.
L’accesso dentro il reale, quando è autentico, è sempre una meta e un segreto che cerca il mondo, che intuisce il mondo.
La poesia vive di silenzio e di vita inesplorata e mai del tutto carpita pienamente.
In quello spazio l’uomo scopre nell’essenzialità la sua vertigine vitale e il suo tempo dotato di tensione.
Ed ecco che la finestra sulle cose scopre tesori nascosti, come i suoi haiku, che sono diventati la coltre dove far nascere le mani della poesia. L’essenziale che si fa vela di tempo.
La sua poesia, quindi, rimane un’apertura di senso sulle soglie del visibile e dell’invisibile, con i tratti stretti e religiosi della sua finestra.
La sua stanza ha la brevità del passo e lo sguardo ampio del tempo.
Oltre quella coltre di musica, da lui tanto amata, e nello sguardo vigile della moglie, alla quale detta i suoi ponti accesi, vive la sua inquieta anima nordica, che innalza le finestre sui paesaggi più terribili e magnificamente solenni del nostro tempo indicibile.
Nei mesi oscuri la mia vita scintil
Furtivi mungevamo il cosmo
:::::: Creato il : 07/12/2011 da Magarotto Roberto :::::: modificato il : 07/12/2011 da Magarotto Roberto ::::::