Qui Elisabetta Dami , la sua creatrice ,
spiega perche' le avventure di Geronimo Stilton sono sempre a lieto fine
( dedicato ai bambini malati di tutto il mondo )
Per Elisabetta Dami, tenace, disciplinata ma, insieme, imprevedibile signora milanese, una vita senza libri, senza tantissimi libri, non è immaginabile, non c'è mai stata, non esiste. Libri per bambini in particolare, visto che è figlia di Pietro Dami — «uno della vecchia scuola», come precisa, per significare che è stato per lei un grande maestro- editore specializzato in cartonati per la prima infanzia. E che adesso è socia, al 50 per cento, dell'editore Pietro Marietti al quale ha portato in dote, nel 1999, G.S. alias Geronimo Stilton, il topo fortunello che da sei anni fa tintinnare ininterrottamente il campanello della cassa e che, nel seminterrato della palazzina rosa di via Telesio a Milano, sede della redazione Piemme, dispone di un vero e proprio appartamento. Ingresso, soggiorno, camera da letto, studio, angolo cottura e bagno, uniformemente tinteggiati di giallo, il colore del formaggio, dove G.S. lavora (è giornalista e scrittore), legge, dorme, mangia e riceve gli amici, bambini soprattutto.
Tenace è la signora perché non ha rinunciato all'idea del topo, nonostante suo padre non ne volesse sapere — un topo per bambini, strafamoso, bastava e avanzava, secondo lui — ragion per cui ha deciso, non senza fatica e dispiacere, di uscire dalla casa editrice di famiglia e di offrire la sua idea a Piemme, dove, per la verità ha avuto subito buona accoglienza. Ed è disciplinata perché non sgarra, perché in questi anni ha fabbricato centinaia di avventure di Geronimo Stilton. Fabbricare, lo si deve intendere proprio alla lettera, nel senso che non solo edita, produce e promuove il topo ma, anche, inventa e scrive.
A dire la verità, su questo punto Elisabetta Dami vorrebbe discrezione, perché i libri sono firmati da Stilton in persona e lei è solo una sorta di scopritrice. «Non li vorrei deludere rivelando che sono io che scrivo! Pensi, il figlio di 5 anni di una nostra redattrice, chiede quasi ogni sera a sua madre se ha visto Geronimo, vuole sapere come sta, cosa ha fatto, cosa ha detto». Poi, però, la «scopritrice» conviene che i bambini, fortunatamente, di solito non leggono quotidiani e confida che i genitori non vorranno tradirla.
Ma tenace è, anche, la signora, perché, quando serve una nuova avventura di G.S., si ritira nella clausura di qualche bel posto — per esempio in un albergo di Sharm-el-Sheik — e ritorna in capo a dieci giorni al massimo, dopo aver scritto 180 pagine per un libro della collana di base oppure 300 per gli speciali. Elisabetta è, invece, imprevedibile perché, di tanto in tanto, lascia ogni cosa e parte per salire sul Kilimangiaro, per correre la maratona di New York, per fare a piedi il giro del Sahara o per partecipare a qualche corso di sopravvivenza estrema. Tutte esperienze che poi finiscono tra le avventure di Geronimo, assieme a molto altro, come i tic e le manie degli amici — definiti poi «topizzati» — i discorsi del tassista o le battute del negoziante. Per il resto la sua vita è ordinata, casa e Stilton, per così dire, un matrimonio durato poco e niente figli: in cambio, però, tanti bambini — malati, orfani, abbandonati — che aiuta, assiste e fa curare grazie agli utili incassati dal topo.
Il catalogo delle fortune di Stilton, al momento, è questo: dieci milioni di copie vendute soltanto in Italia, traduzioni in quaranta lingue, un progetto americano per una serie di film e una sorella di Geronimo che sta muovendo i primi passi nella scrittura, con già notevole successo. E poi, un'altra buona notizia: da qualche tempo, G.S., per il passato assai sfortunato in amore, ha una fidanzatina carina e simpatica.
Quanto al fortunato nome, la sua inventrice spiega: «Geronimo è il grido dei paracadutisti americani e anche il mio — perché la signora Dami si dedica a questo sport per curare, in modo assai radicale, le sue vertigini — al momento di gettarsi dall'aereo: prima di aprire il paracadute, affinché non s'impigli nelle ali, bisogna lasciar passare una manciata di secondi, quei tanti che ci si impiega a urlare, appunto, "Geronimo"! Il cognome lo devo invece a un viaggio natalizio in Inghilterra, con cena di festa in casa di amici, dove, a fine pasto, al posto del dolce, è arrivato in tavola, bagnata nel porto, una immensa forma di stilton, saporitissimo e indimenticabile. Molto meglio di Geronimo Grana o Geronimo Stracchino, no? Per non parlare delle amicizie che ho stretto grazie al cognome del topo: ogni anno un piccolo consorzio storico di stilton, che ancora lo produce secondo i metodi in uso nel 1700, m'invita per un soggiorno cultural-gastronomico cui tengo molto».
Rimanendo in tema formaggio, Elisabetta ricorda una carnevalata che ha organizzato tempo fa, a uso e consumo di tre manager di una produzione americana interessata a trarre un film dalle avventure di G.S.: è partita per gli Stati Uniti con un pupazzo Geronimo alto come un uomo e tre ruote di grana nella stiva, una per ciascun interlocutore. Ed è andata alla grande. «Li ho conquistati alla causa del topo, il che, in America, regno incontrastato di Mickey Mouse, è sembrato a tutti un vero miracolo». Ma nome e cognome a parte, le avventure di Stilton da dove nascono? «È una storia personale... Molti anni fa ho scoperto che non avrei potuto avere figli ed è stato, naturalmente, un grande dolore. Ma ci ho ragionato sopra e ho cominciato a fare volontariato tra i piccoli pazienti degli ospedali. Per farli ridere inventavo per loro storie buffe, protagonista un topo che incappava in una serie di avventure divertenti. Ho capito presto — come, del resto, sa ogni madre che racconta favole ai figli — che i bambini amano la serializzazione, nel senso che, giorno dopo giorno, vogliono ascoltare le vicende dei medesimi personaggi. Per cui topo è stato, al principio, per caso e topo è poi rimasto per forza di cose ; poi soprattutto ho capito che volevano sempre storie a lieto fine"
E la sua fortuna a cosa è dovuta? «Le avventure e i colpi di scena si susseguono, c'è suspense, c'è umorismo, ci sono gli aspetti buffi della vita, ci sono alti e bassi e, sempre, un alto, una speranza finale; le pagine hanno ritmo, velocità, le si legge in poco tempo per cui — è una legge degli uomini ancora prima che del mercato — subito se ne vogliono delle altre. Ovviamente temevo la saturazione. Invece non è venuta. Spesso i bambini — hanno tra i 6 e i 9 anni, a volte di meno se genitori o nonni si prestano all'incombenza, a volte di più, anche 10 o 12 — mi scrivono di aver ritrovato la voglia di leggere grazie al nostro topo».
Poi Elisabetta Dami fa un gesto tenero: dal portafogli estrae cautamente un foglietto di carta da quaderno e lo mostra con la fierezza un po' imbarazzata di una madre che non resiste dall'esibire le foto dei figli. Spiega che l'autore ha nove anni e, da una cascina sperduta nella campagna piemontese, ha scritto a Geronimo: «Stamattina stavo male, non sono andato a scuola, ero triste. Poi ho pensato a te e mi sono sentito subito meglio».
ISABELLA BOSSI FEDRIGOTTI ( fonte: corriere della sera)
:::::: Creato il : 19/12/2010 da Magarotto Roberto :::::: modificato il : 19/12/2010 da Magarotto Roberto ::::::