Ecco la mia storia.
Mi chiamo Rossella Marsala, sono nata a Palermo 47 anni fa ma vivo in provincia di Bologna già da 25 anni. Mi trasferii qui appena laureata perché mi innamorai dell’uomo che da allora è il mio compagno, mio marito, e dal quale ho avuto una bellissima figlia che oggi ha da poco compiuto 18 anni.
Due anni fa , dopo pochi e sporadici sintomi niente affatto chiari, mi è stato diagnosticato un adenocarcinoma al colon destro, nel tratto ileo-cecale. Sono stata operata subito (era già una bella arancia di quasi 7 cm di diametro!) e poi ho fatto 12 cicli di chemio adiuvante: da Gennaio a Giugno 2007. Questa la prassi. Non credo che la descrizione di tutti i passaggi nei dettagli sia di qualche interesse, ho preferito riassumere questo iter in poche parole perché penso che ciò che più conta sia il vissuto emotivo.
La notizia di una massa non ben definita che si trova all’interno del tuo corpo sprofonda in un lampo in una specie di buco nero: un grande silenzio ti avvolge, fatto di pura paura, una paura così profonda che ogni parola è cancellata. In quell’attimo, ricordo, l’unica cosa che riuscii a pensare fu “Ma mia figlia ha solo 16 anni! Ha ancora bisogno di me!”. Ero da sola il giorno in cui andai a fare l’eco che evidenziò la massa nel mio intestino e così da quel “luogo” buio, silenzioso e freddo chiamai mio marito al telefono dicendogli di venire a casa appena possibile. Gli ripetei la notizia senza girarci intorno e anche lui tacque. Restammo entrambi in silenzio, senza neppure toccarci, senza guardarci, entrambi avvolti dalla stessa sensazione di silenzio e di freddo.
Poi sono iniziati gli esami più approfonditi che hanno portato alla diagnosi certa, la scelta del chirurgo, la data dell’intervento. Tutto questo senza che tra noi due venisse detta una sola parola: a ripensarci, eravamo come sonnambuli che attraversavano inconsapevoli un luogo del tutto sconosciuto.
A nostra figlia non abbiamo detto nulla: in qualche modo sapevo che spettava a me, ma non mi sentivo pronta, non sapevo quali parole usare, che cosa dire. Così decisi di aspettare: forse le parole sarebbero arrivate in seguito.
L’intervento è andato benissimo e così anche la convalescenza. Poco dopo il mio rientro a casa ho trovato le parole giuste e l’ho detto anche a mia figlia. Ci sono riuscita perché ero serena, non avevo più paura. Non so spiegare forse molto bene cosa sia accaduto, ma mentre ero ancora in clinica ho realizzato un senso profondo di pace e di serenità, per assurdo quasi di felicità. Tutto quello che fino ad allora mi aveva angustiato era scomparso, anche i problemi che fino a quel giorno in maniera altalenante erano esistiti con mio marito si erano volatilizzati. Niente aveva più quell’importanza fondamentale che fino ad allora gli avevo attribuito. Quello “tsunami” si era portato via tutto il male, il rancore, la rabbia e restavano solo amore e gioia. <era come se fossi finalmente arrivata “a casa” ed ero in pace, stavo proprio bene.
Con questi stessi sentimenti abbiamo tutti insieme affrontato i sei mesi di chemio, con tutti i disagi che questa ha comportato (anche se fisicamente del tutto sopportabili, per fortuna). Mio marito mi è stato sempre accanto, con un amore e una dedizione che non sono comuni.
La mia malattia è stata quindi per me una “benattia”, una grande opportunità di crescita spirituale non solo per me ma per tutti noi. Oggi siamo molto più uniti e sereni e molto più amore circola tra noi.
Questo è il messaggio che desidero trasmettere a chi sta attraversando questo percorso.
Non ho grandi imprese da raccontare: non ho scalato montagne, non ho corso o raggiunto mete incredibili. La mia grande prova penso sia tutta interiore, spirituale per meglio dire: accettare ciò che non posso cambiare e imparare ad offrirsi agli altri senza chiedere nulla in cambio.
L’accettazione della malattia come un percorso di crescita, una grande Opportunità, trasforma la sofferenza in rinascita, annulla il dolore, fa capire che la paura di morire è fittizia e che alla morte dobbiamo e possiamo abituarci pensando a questa come a un passaggio di stato. Se e quando abbandoneremo il nostro corpo fisico non lasceremo mai i nostri cari, ma potremo ancora aiutare loro e tutti i nostri altri fratelli in maniera più completa perché potremo farlo in spirito. Lo dico perché ne ho avuto spesso le prove in questi mesi e oggi mi vedo come una persona “in cammino”. Sto imparando tanto ma soprattutto una cosa, l’unico vero comandamento: ama il prossimo tuo come te stesso. In realtà non esiste altro e questa è l’unica legge a cui possiamo e dobbiamo aderire con il nostro vero Io.
Non so, quindi, quanto tempo vivrò ancora su questa terra. Oggi sono guarita, certo, ma non mi abbandona mai la consapevolezza del dono enorme che ho ricevuto: il tempo concessomi ancora per imparare ciò che prima rifiutavo, di capire i miei errori precedenti; il tempo per amare, il tempo per dedicarmi a chi soffre, il tempo di donarmi e di imparare a donarmi incondizionatamente, senza riserve. Il tempo per conoscere persone bellissime, meravigliose, da cui sto acquisendo una conoscenza che si fa ogni giorno più importante e nutriente. E’ ogni giorno una vera, grande gioia essere qui.
Se per imparare questo occorre ammalarsi –di cancro o di qualunque altra cosa, non importa- benvenuto sia il cancro.
Un augurio pieno di affetto a tutti,
Rossella
Rossella con la figlia Alice
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