Mario Grazioli , Verona( al centro della foto) . Un grande viaggiatore racconta la sua esperienza col cancro
Una vita. Tre opportunità.
- Prego, si accomodi nel mio studio…Dobbiamo parlare .
Il viso del medico era scuro e con espressione adeguata per la circostanza.
- Ci siamo. Ho immediatamente realizzato che l’argomento della conversazione non sarebbe stato piacevole, anche perché l’invito a parlare seguiva una mattinata interamente dedicata ad esami ed accertamenti, con ripetizione delle radiografie ed atteggiamenti molto seri dei medici dei vari reparti.
Avevo avuto una imponente ematuria, non giustificata da traumi, e quello era il segnale che qualcosa non andava nei reni.
- Prego. Il medico mi fece cenno di entrare.
Ci accomodammo alla scrivania.
Anche nei momenti più drammatici il nostro cervello ha la straordinaria facoltà di distrarsi in osservazioni marginali..
- Come la scrivania di papà, - pensai. Invasa da scatolette di campioni di medicinali, da pubblicazioni scientifiche, da blocchetti di ricettari di varia misura. La tipica scrivania di un medico indaffarato, nella quale è difficile trovare spazio.
Da una pila di carte estrasse un blocco,e, senza guardarmi, disegnò una figura vagamente simile ad un fagiolo e grande come un pugno
Alzò il capo e, fissandomi negli occhi, disse.
- Ecco, questo grossomodo è un rene
Poi con la penna disegnò un cerchio, parzialmente inserito in quello che con buona volontà da ambo le parti avevamo identificato come un rene.
- Ed ecco, questa è una massa neoplastica che invade un terzo del rene.
E’ grande come una palla da tennis…e sembrerebbe ben incapsulata…
Il tempo di sentir pronunciare quelle parole e la mia vita era cambiata.
La sentenza era emessa. Non c’era più spazio per dubbi o speranza che si trattasse di altro, qualsiasi altra cosa tranne quella parola.
- Insomma, ho un tumore.
- Purtroppo si. Non ci sono dubbi. Le lastre sono chiare…
- Si può fare qualcosa..operare ?
- Dobbiamo approfondire. Se non ci sono metastasi, ovvero cellule migrate attive su altri organi, insomma, se è come appare, bene incapsulato, c’è la possibilità di un intervento.
Già questa ipotesi mi appariva come un’ancora di salvezza.
La mente lavorava vorticosamente e mi sentivo estremamente razionale, quasi che il problema mi fosse diventato improvvisamente estraneo e riguardasse un’altra persona.
Come dirlo a mia moglie Luisa, come avrebbe reagito, cosa sarebbe successo, avei avuto il tempo per sistemare le mille cose in ballo e mettere in ordine ?
Chiamai Luisa, sforzandomi di mantenere una voce atona, senza emozioni ma confermando comunque i timori che già opprimevano i suoi pensieri,
Chiamai anche mio fratello medico, ed insieme si decise di seguire l’unica via agibile, quella che lasciava un margine di speranza.
- Se tutto va bene e non ci sono complicazioni sull’altro rene, asportando il rene malato abbiamo buone possibilità di successo. Si può vivere anche con un solo rene… Abbiamo una casistica confortante e le assicuro che anche con un solo rene si può vivere come prima.
Il medico tentava di rassicurarmi.
Il più visibilmente preoccupato era mio fratello. Luisa, annichilita, cercava di razionalizzare in termini di tempo l’immediato futuro ed il da farsi per velocizzare le cose.
1
Nei giorni seguenti, preparatori all’intervento, fissato per la settimana successiva, ricevetti altre testimonianze di persone conosciute cui era stato asportato un rene e che avevano ripreso a vivere tornando ad una graduale normalità. Esperienze confortanti.
Fui operato, all’Ospedale di Negrar. Era il 28 ottobre 1999.
Tutto si svolse in maniera così rapida e incalzante che non ebbi davvero il tempo di metabolizzare gli eventi e pensare ad un futuro possibile.
L’obiettivo primario era estirpare il male alla radice e verificare che non ci fossero complicazioni.
Al risveglio dall’anestesia fu il chirurgo a dare la notizia confortante.
Avrei continuato a vivere. Come, dipendeva da me. Come avrei saputo reagire ad una menomazione grave e potenzialmente limitativa della qualità della vita?. Di una vita che era stata estremamente dinamica ed attiva professionalmente e resa avventurosa da una sequenza di grandi viaggi in oltre cinquanta Paesi dei vari continenti.
Viaggi molto impegnativi anche sotto l’aspetto della prestazione fisica.
Avrei potuto continuare o avrei dovuto limitare la realizzazione dei miei progetti di grande avventura ad orizzonti più stretti ?
Quanto e cosa sarebbe rimasto come prima ?
Ma erano interrogativi più accademici che assillanti.
Era già un grande regalo che al “come prima” potesse seguire un “dopo“, non importa come.
A casa dopo breve convalescenza, a metà novembre volli provare la mia capacità di ripresa andando ad incontrare un cliente a San Marino.
Accompagnato da un amico, mi feci Verona-San Marino – Verona in giornata. Nessun problema. Ero ancora io. Ero il Mario di prima, capace di leggendarie e temerarie tirate in auto.
- Le uniche ripercussioni potrebbero essere di ordine psicologico.. sentirsi menomato e quindi psicologicamente limitato nell’affrontare anche le cose di tutti i giorni…insomma, potrebbe cadere nella depressione.”, aveva detto il medico.
Non ebbi momenti di depressione o limitazioni psicologiche.
La mia vita continuava sostanzialmente come prima, senza sensibili limitazioni pregiudiziali, o fisiche.
Ripresi la mia attività professionale, con frequenti spostamenti in Italia ed all’estero.
Nel 2001 accompagnai i miei nipoti in un lungo, impegnativo ed entusiasmante viaggio in Islanda.
Mi regalai, anche sollecitato da mia moglie, una BMW Z3, dando seguito alla mia mai spenta passione per le decappottabili.
Non era comunque la vita di prima. Almeno per certi aspetti, non secondari ma esistenziali.
Quando ti viene concessa una seconda opportunità, realizzi che devi correggere il tiro e puntare su obiettivi ed interessi qualitativamente più importanti.
Il nuovo spessore è dato dalle cose che contano veramente, dai valori che cambiano priorità.
Quello che prima ti sembrava anche socialmente importante ora diventa insignificante.
Ti rendi conto che il tempo è la risorsa essenziale, e come tale trova nuova valorizzazione in una dimensione che lascia ampi spazi alla introspezione, alla lettura importante, al pensiero libero di allontanarsi e perdersi in infiniti pieni di dubbio. Torni alla filosofia.
Passati alcuni mesi il tumore al rene era un memento presente ma non frustrante né condizionante. Un accidente di percorso.
Mi sentivo come uno che aveva pagato il suo conto e non avrebbe avuto altri sospesi con questo genere di malattia.
2
Gennaio 2008.
“ Prego, si accomodi. Non se ne vada. Mi aspetti fuori “
Ecografia addominale. Esame di routine. Controllo periodico, a due anni di intervallo dal precedente, come da consiglio del medico che mi aveva in osservazione dopo l’intervento del 1999.
Mentre mi pulivo dal gel la dottoressa controllava sul monitor le immagini nebulose registrate dallo scanner.
Consideravo che in effetti l’esame era stato molto più lungo, ed insistente in particolare nell’area sinistra dell’addome.
Non avevo motivo per essere preoccupato. Nessun problema fisico, nessun sintomo né dolori di alcun genere.
Ma quel “prego si accomodi”..mi fece ricordare un “altro prego si accomodi” di anni prima, ed uscii dallo studio con un vago senso di disagio.
- “E’ stata lunga questa volta ! – Cominciavo a preoccuparmi.”
Mia moglie, in attesa nella saletta adiacente, confermò la mia sensazione sulla insolita durata dell’esame
- “Possiamo andare ?”
- “No. Mi ha detto di aspettare, che voleva valutare l’esito e darmi delle indicazioni “
- “ Ci sono problemi ? “
- “Non credo, comunque…ecco, sta uscendo “
La dottoressa si avvicinò:
- “ L’ecografia evidenzia che il rene sinistro ha un aspetto irregolare. Ci sono come dei noduli, dei rigonfiamenti estesi…molto probabilmente sono dovuti allo stress che deve sopportare dovendo lavorare anche per il rene che è stato tolto..e’ certamente un rene affaticato, che nello stato in cui si trova lavora al sessanta per cento…è probabile che le irregolarità rilevate siano da imputare ad affaticamento…ma per maggior tranquillità io vi consiglio di fare un controllo più approfondito con una TAC.
Così ci togliamo ogni dubbio..”
E TAC fu. Ed ogni dubbio fu chiarito.
Il rene sinistro divenne “sinistro”, nel senso più negativo del termine.
“Massa neoplastica diffusa, con metastasi su una ghiandola surrenale e sul pancreas”
Ovvero, tumore al quarto stadio, non operabile. Prognosi infausta.
Diagnosi come sentenza di morte.
Ed allora, in quel preciso istante, tutto cambia.
Ogni attimo diventa prezioso, ogni respiro è vita, ogni gesto essenziale, ogni valore si stravolge. Niente è come prima.
Inizia una nuova vita.
Quella che ti rimane dalla presa di consapevolezza della condanna al verificarsi dell’evento.
Un limbo, dai confini incerti e dove il limite è un orizzonte chiuso, incombente.
La prima domanda che ti poni è quanto tempo ti resta.
Tre mesi, sei mesi.. forse un anno.
Ti informi. La letteratura medica è impietosa. In italiano è mitigata. Prognosi infausta, ovvero, non felice. In inglese è più impietosa .. “ poor prognosis “
Ho un incontro con il primario di oncologia per una reale valutazione della situazione e delle possibilità di cura.
E scopro, con un certo sgomento, che la ripetizione di un tumore sul rene superstite non è un evento raro, anzi, come conferma il anche il nefrologo, è un fatto che si verifica con una certa frequenza, dopo alcuni anni dalla nefrectomia.
3
“Per questo i controlli di prevenzione dovrebbero essere più frequenti col passare degli anni..”
Ma allora perché il chirurgo che mi aveva operato e dal quale sono andato per i controlli dopo l’intervento, a distanza di anni mi aveva rassicurato, che non avrei avuto altri problemi, che potevo dilatare i controlli..?
Evidentemente tra colleghi non si parlano. Evidentemente ciascuno opera nel proprio settore e non si informa o non viene informato di queste possibilità di ripetizione del tumore.
Trattandosi di un tumore asintomatico, se non avessi fatto questo pur tardivo controllo, il sarebbe progredito fino a manifestarsi con una patologia dolorosa e sarebbe stato troppo tardi per qualsiasi tentativo di cura.
“ Possiamo provare con una cura sperimentale. Non per una guarigione, ma con l’obiettivo di prolungare le aspettative di sopravvivenza. Oggi disponiamo di un farmaco, ancora in fase si sperimentazione, che può bloccare lo sviluppo della massa tumorale e concedere più tempo… nel frattempo la ricerca progredisce…
La nostra Struttura è tra quelle che contribuiscono alla sperimentazione ed abbiamo questo farmaco a disposizione…”
Il primario parlava, mi offriva una boa cui aggrapparmi, ma era una boa in un mare aperto, un appiglio per prendere fiato..ma non c’era una spiaggia all’orizzonte.
Avevo una lucida e razionale percezione del percorso che mi aspettava.
Nessuna disperazione. Tristezza, certo. Tristezza per chi mi stava insieme da una vita e con me avrebbe perso un parte essenziale del proprio essere.
Una amputazione dolorosa e tristissima.
Una ricerca accurata sul farmaco mi informava che i risultati ottenuti su oltre seicento pazienti trattati si erano concretizzati in una sopravvivenza media di alcuni mesi, da sei a dodici.
Quindi, se ero fortunato, potevo sperare di avere ancora un anno da vivere.
Una prospettiva da valutare con l’ottimismo della rassegnazione e con la speranza che il farmaco funzionasse, che il mio fisico lo tollerasse, che gli “effetti secondari o danni collaterali” mi avrebbero permesso una vita tollerabile, accettabile, vivibile dignitosamente.
Un altro, ultimo scampolo di vita in una nuova, diversa prospettiva.
E’ iniziata così la mia diretta partecipazione nella rappresentazione del dramma della malattia, la mia percezione di una nuova vita, l’esperienza con una diversa dimensione dei rapporti umani, in quello delle relazioni con le persone, sia all’interno della struttura ospedaliera.
Un percorso arduo, spesso atroce, frequentato ogni giorno da migliaia di persone e dai loro familiari.
Ti viene concessa quest’ultima opportunità e la prima cosa che pensi è come utilizzarla nel migliore dei modi. O nell’unico modo possibile.
Certo non può essere veramente una vita come prima.
Già il fatto di pensare al “come prima” significa avere la percezione che si è in un “dopo” , che una storia si è conclusa e che resta solo lo spazio per una breve appendice.
Nessun panico. Mi sentivo capace di una lucidità sconcertante. Riuscivo a razionalizzare in termini di tempo e di priorità le millanta cose che avrei dovuto e voluto fare prima dell’irreparabile.
Volevo essere ottimista, pensare positivo.
Se la media di sopravvivenza dovuta al farmaco era intorno ai dieci mesi ipotizzai per me questa media. Tolti gli ultimi due, tre mesi, che sarebbero stati da stadio terminale, pensavo di poter contare su circa dieci mesi di vita surrogata, di spazio temporale per fare tutte quelle cose che dovevo fare per non lasciare uno strascico di situazioni da risolvere.
4
Portare a termine i progetti di attività ancora in corso, chiudere lo Studio, presentare domanda di pensione, liberarmi dalla massima parte di quelle che ormai consideravo attività dispersive e che avrebbero richiesto impegno di tempo, di buona parte del poco tempo che mi restava e che era diventato improvvisamente tanto prezioso.
Poi tirare i remi in barca e lasciarsi portare verso un Moelstrom inevitabile.
Il buco nero dove tutto confluisce e scompare.
Aver eliminato l’attività professionale, e tutti gli impegni ed i vincoli ad essa collegati, mi ha dato una sensazione di grande libertà, smentendo quanti avevano previsto nostalgie, rimpianti, depressione. Non essendomi posto nella vita obiettivi particolari, non avevo motivi di rammarico o di grande insoddisfazione.
Avevo lavorato con grande impegno per quasi quarant’anni, venticinque in una grande multinazionale e quindici da professionista con il mio Studio-Agenzia di Marketing e Comunicazione. Una vita intensa, ricca di attività molto diversificate, sempre stimolanti e fortemente creative, spesso gratificate dalla soddisfazione di riconoscimenti.
Un bilancio comunque lo fai. Ed è un ripercorrere a ritroso una strada che spesso ha avuto i segni della predestinazione o, per uno spirito più laico, da casualità determinanti e intriganti.
Ti misuri con gli altri, il resto dell’umanità, e ti rendi conto di aver avuto una quantità di privilegi dovuti più fortuità che a meriti personali.
La mia generazione è stata tra le più fortunate di tutta la storia dell’umanità.
Non ha conosciuto lo strazio della guerra, i grandi mali che hanno afflitto tutte le generazioni precedenti e che ancora sono nel destino di chi nasce nel posto sbagliato. La fame, il freddo, il bisogno, la mancanza di lavoro, la paura del domani, la violenza…
Laureato in giurisprudenza, per un incontro accidentale ed assolutamente straordinario, ho avuto l’opportunità di entrare in una grande azienda, uno dei quindici Marchi più noti al mondo, e di svolgere un’attività nella quale sono stato sollecitato a sviluppare ed esprimere con soddisfazione personale capacità che ritenevo di avere ed altre che mi sono scoperto in corso d’opera. Ho avuto grandi opportunita per imparare e per utilizzare successivamente le innumerevoli esperienze acquisite in vari settori.
Ho avuto la fortuna, e, secondo molti anche la l’abilità, di svolgere un’attività nel cui ambito ho potuto ideare e portare ad esecuzione progetti in cui hanno trovato ampio spazio anche la realizzazione dei sogni più arditi di grandi viaggi davvero fuori dai luoghi comuni.
Fin dai banchi di scuola, stimolato da letture appassionanti, avevo esteso agli estremi del mondo scoperto sui libri i confini del mio piccolo mondo reale; avevo sognato di mettere piede in quelli che mi sembravano i luoghi dei miti e delle avventure estreme.
Nell’ambito dell’attività professionale nel settore del marketing e della comunicazione, ho avuto la possibilità di realizzare gran parte delle mie Vie dei Sogni, non solo, ma ho coinvolto in questa mia passione d’avventura centinaia di persone che hanno condiviso il piacere di viaggi “ impossibili “, quelli che da solo non faresti mai e che nessuno dopo ha più organizzato, nello spirito e con la passione che riuscivo a mettere negli indimenticabili ed indimenticati “Top Dream”, che ho organizzato per quasi vent’anni, come attività complementare a corollario di quella primaria.
In camper, in auto e soprattutto in moto, ho percorso, insieme a tanti amici, itinerari straordinari tracciati sulle strade più spettacolari e suggestive dei cinque continenti.
Le mie strade blu, quelle che sulle vecchie carte stradali americane erano segnalate come secondarie, quelle che portavano nel cuore dei territori e delle realtà sociali attraversate.
Oltre cinquanta i Paesi nei quali ho messo le ruote, percorrendoli con ansia d’avventura e piacere di sempre nuove indimenticabili ed impagabili esperienze umane.
Percorsi che, messi insieme, portano dall’Alaska alla Terra del Fuoco, passando da Canada, Usa, Baja California, Messico, Argentina, Cile…
5
Da Capo Nord al Capo di Buona Speranza, a CapoHorn, poi Australia, Nuova Zelanda, India, Nepal.. oltre duecentomila chilometri di asfalti, sterrati, deserti, foreste nordiche e pluviali, pampas e tundre, higlands, costiere di cento mari e mille fiordi, popoli di cento razze, volti e sorrisi di infiniti uomini sotto ogni latitudine.
Ricordi di luoghi, di persone, di accadimenti, di esperienze straordinarie ed irripetibili che oggi mi piace ripercorrere sulla memoria di diari, road books, di reportages, di migliaia di immagini, di filmati di ogni passo, dallo storico Super8, al 16 mm, alle telecamere sofisticate degli ultimi anni.
Testimonianze vive di accadimenti di volti e di nomi che affollano questo mio passato.
Non ho rimpianti né nostalgie. Quei Paesi, quei luoghi, quelle persone non esistono più.
Da allora sono trascorsi anni che sono secoli. Il mondo omologato ha stravolto le identità.
Tutto è repentinamente cambiato, tutto è diventato spazio aperto per la sottocultura dei “turisti per caso”:
Ho avuto il privilegio di conoscere e visitare quei mondi originali prima della perdita di identità e della massificazione .
Né rimpianti né nostalgia.
“ Chi vive nella nostalgia del passato o nella speranza di un futuro migliore è condannato ad errare senza posa nei cunicoli del tempo…Perché quando si pensa troppo al passato o al futuro ci si scorda di vivere il presente: si vive come se non si dovesse mai morire e si muore senza aver mai vissuto.
L’unico modo di sfuggire al sortilegio della misura del tempo è vivere il momento presente “
( Maxence Fermine – Il labirinto del tempo)
Ed ora, quando qualcuno mi sollecita a rimettermi on the road, rispondo che non ho alcuno stimolo per revivals che sarebbero deludenti e che, comunque, sono già sul percorso di un viaggio con una final destination senza ritorno.
Niente come prima. Ma una vita proiettata ai tempi brevi di un futuro segnato.
Il piacere del quotidiano. Di svegliarsi ogni mattina con la soddisfazione di essere vivi, di organizzarsi la giornata senza il senso dell’impegno, del dover rispondere a qualcuno del proprio tempo. La leggerezza del disimpegno.
Una vita certamente meno dinamica, meno impegnata nelle relazioni sociali, un tempo quasi assillanti. Ampi spazi dedicati alla contemplazione ed all’osservazione quasi scientifica del mondo che mi circonda, nel mio rifugio che abbiamo chiamato Altrove proprio perché è un posto magico, in cui viviamo mia moglie, io, i nostri cani e tante presenze animali che ci fanno sentire in grande sintonia con la natura e con tutti gli eventi propri del ciclo naturale. Dove anche la morte o il pensiero della morte sono parte del tutto.
E’ possibile convivere anche con il pensiero della morte senza che questo diventi incubo quotidiano e sensazione condizionante. Ma credo possibile solo se il decorso della malattia non crea situazioni di forte sofferenza fisica, solo se la qualità della vita rimane accettabile, se gli effetti collaterali delle cure si mantengono nel limiti dei fastidi tollerabili.
La malattia diventa elemento condizionante per ogni decisione.
Ombelico temporale e mentale intorno al quale si vive la quotidianità.
La settimana non ha più il riferimento della domenica ma ruota introno al giorno della terapia, e scandisci il tempo pensando al “ giorno prima della chemio…il secondo dopo la chemio”.
Sono trascorsi quasi due anni e mezzo dall’inizio della cure e, grazie alle terapie adottate, ad un’assistenza medico-inifermieristica di assoluta competenza e professionalità unite a squista e rara umanità, e per una serie di fortuite circostanze e condizioni personali, il mio tumore fatale è bloccato dal farmaco.
Ad oggi ho superato le cento terapie, e già questo è un grande risultato. Insperato ed insperabile. Vivere questo tempo nella disperazione sarebbe stato inutile tortura, vivere come prima, patetica illusione, vivere questa nuova, breve vita con senso di grande libertà e attribuendo nuovi valori agli aspetti fondamentali è stata e rimarrà, fino all’ultimo, esperienza gratificante e conclusiva.
Ho vissuto tre vite, ho avuto per sorte tre grandi opportunità per cambiare, anche radicalmente, modi e stili di vita, arrivando a quella specie di sublimazione che oggi si traduce nel grande apprezzameno di valori fondamentali ed essenziali.
Amore, affetto, amicizia, solidarietà, serena accettazione degli eventi.
Sul nuovo percorso ho incontrato persone straordinarie, nuove amicizie, sorrisi sinceri e grande solidarietà.
Ma su questo itinerario si spalancano baratri di dubbi, di certezze cadute, di fede che vacilla, di interrogativi sul “dopo” che non trovano risposte confortanti.
Come pappi di soffione
Aspettiamo che il vento
Ci porti nel cielo.
Sarà un’altra vita
O solo un ritorno
Alla terra ?
Mario Grazioli
:::::: Creato il : 13/08/2010 da Magarotto Roberto :::::: modificato il : 18/03/2011 da Magarotto Roberto ::::::