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norme di comportamento e terapie per il linfedema del braccio [06/08/2010]

 fonte: www.soslinfedema.it

 IL LINFEDEMA DEL BRACCIO POST_LINFOADENECTOMIA ASCELLARE 

Il linfedema del braccio è un effetto collaterale che può avere inizio durante o dopo il trattamento per il tumore al seno. Pur non essendo un effetto grave, può protrarsi per un lungo periodo di tempo. Questa condizione si manifesta sotto forma di gonfiore dei tessuti molli del braccio o della mano. Il gonfiore può essere accompagnato da torpore, fastidio e a volte da un’infezione.

Non è disponibile alcun sistema affidabile per individuare il rischio di linfedema, ma se si adottano precauzioni adeguate è possibile ridurre sensibilmente le probabilità di sviluppare questa patologia.

Il linfedema del braccio viene definito come un accumulo di fluido linfatico nei tessuti molli del braccio, accompagnato da gonfiore (detto anche edema). Per comprendere come si sviluppa, è necessario sapere come il sangue e il liquido enfatico viaggiano all’interno del corpo. 
Il fluido deve scorrere continuamente attraverso la rete di vasi e canali, in caso contrario si accumula dando origine a un coagulo. Il sangue viaggia dal cuore al braccio mediante lungo le arterie e i capillari, ovvero dei piccoli vasi sanguigni che collegano le arterie alle vene. Scorrendo all’interno dei capillari, il sangue trasporta elementi essenziali per le cellule del braccio: ossigeno, sostanze nutritive e un fluido limpido e incolore chiamato fluido linfatico. Il sangue utilizzato continua a fluire fino a tornare al cuore e ai polmoni, dove viene rigenerato. Ogni battito del cuore consente di distribuire al braccio sangue fresco dotato di nuovi nutrienti. 

Anche il fluido linfatico deve continuare a scorrere attraverso i tessuti del braccio per essere nuovamente reintrodotto nel flusso sanguigno. Questo fluido viaggia in un altro tipo di vasi, ossia i vasi linfatici. 

I muscoli del braccio e le contrazioni nelle pareti dei canali linfatici spingono il fluido linfatico nel braccio, mentre le valvole presenti nei vasi linfatici consentono al fluido di fluire sempre costantemente. I canali linfatici passano attraverso strutture a forma di fagiolo chiamate linfonodi, che si trovano sotto il braccio e nel collo, nell’inguine e in altre aree. I linfonodi filtrano i batteri, i prodotti di scarto e le sostanze tossiche eliminandoli dal fluido linfatico. Il materiale intrappolato viene frammentato ed espulso dal corpo. Infine, il fluido linfatico usato scorre via dal braccio fino a unirsi al sangue utilizzato all’interno delle vene, viene rigenerato nei polmoni e quindi ripompato nei tessuti dal cuore.

Il fluido linfatico contiene numerose sostanze nutrienti ed è un obiettivo facile per i batteri che riescono a infiltrarsi oltre lo strato protettivo creato dalla pelle. I batteri possono insinuarsi nell’organismo persino attraverso una innocente cuticola lacerata. Se i batteri riescono a farsi strada, possono causare delle infezioni. L’infezione porta poi a un incremento del flusso sanguigno volto a contrastare i batteri e, di conseguenza, anche a un aumento del fluido linfatico che si accumula e deve essere drenato.

Il linfedema può essere paragonato a un guasto nell’impianto idraulico: le vene e i canali linfatici sono le condutture e gli scarichi che gestiscono il nomale carico del fluido linfatico. Se i linfonodi e i canali vengono rimossi, le tubature e gli scarichi potrebbero non essere sufficienti per gestire tutto il fluido.

Questa mancanza di tubature e scarichi può diventare problematica quando il flusso sanguigno verso il braccio aumenta a causa di un’infezione, una bruciatura, un uso eccessivo della muscolatura del braccio o anche la puntura di un insetto. In questi casi, l’incremento della quantità di fluido linfatico in circolo può essere superiore alla capacità dei vasi linfatici del braccio. Se i canali del fluido non riescono a supportare il fluido in eccesso, questo inizia ad accumularsi negli interstizi delle cellule presenti nei tessuti molli del braccio. Qui si trovano la pelle, il grasso, la muscolatura, i nervi, i vasi ematici e linfatici e il tessuto connettivo. Il gonfiore derivante dall’accumulo di fluido linfatico viene definito linfedema del braccio.

Il linfedema può interessare l’intero braccio o solo una parte limitata, come la mano, il polso, l’area sottostante il gomito o, molto più raramente, l’area soprastante il gomito. Il linfedema può toccare anche il seno, perché anche il fluido di quell’area deve defluire attraverso la zona ascellare per essere reimmesso in circolazione. 
Alcune donne presentano un linfedema così lieve da essere difficilmente visibile. Altre, invece, sviluppano un linfedema moderato che è visibile, non si riassorbe e peggiora quando le condizioni si aggravano. Altre ancora soffrono di un linfedema grave che crea un disagio tale da comportare persino una disabilità. Per tutti questi casi sono tuttavia disponibili dei trattamenti che leniscono il disagio e attenuano il gonfiore.

Il consiglio migliore per prevenire la formazione di un linfedema si riduce a una sola regola: evitare ferite o irritazioni al braccio che possono portare a un’infezione.

Possiamo distinguere linfedema:

Post-operatorio – dovuto al trauma chirurgico,quando alla dissezione ascellare segue edema della zona periareolare della vena ascellare. Transitorio (compare nell’immediato post-operatorio ed è dovuto all’interruzione linfatica per 180°)
Secondario – compare a distanza di mesi o anni dalla data dell’intervento ed è quasi sempre dovuto a traumi od a processi di tipo infiammatorio. Quest’ultimo a sua volta può essere: Acuto infiammatorio (dato da introduzione di germi)
; Cronico (dovuto ai precedenti)
- Evolutivo (evoluzione della malattia: limfangio-sarcoma)
Cosa fare?

Il fattore tempo sembra avere un ruolo fondamentale nel limitare i danni. Il linfedema si presenta in genere nei primi mesi successivi all’intervento. Se si interviene fin dalla prima sensazione di gonfiore, che di solito interessa la mano, è possibile evitare le conseguenze peggiori.
I trattamenti farmacologici proposti (primi fra tutti i diuretici che dovrebbero aiutare a ridurre i liquidi) non sembrano dare risultati incoraggianti. Solo l’eliminazione manuale dei liquidi in eccesso, con la tecnica del linfodrenaggio, si è dimostrata di qualche utilità.
A chi rivolgersi?

Il linfodrenaggio è un metodo assimilato al massaggio. In quanto tale può essere eseguito, per legge, anche dalle estetiste. In casi delicati come quelli conseguenti a un cancro al seno dovrebbe, però,essere affidato a fisioterapisti esperti. In genere i grandi ospedali oncologici hanno un servizio di fisioterapia capace di fare il linfodrenaggio, o di indicare professionisti formati in modo adeguato.

Il metodo VODDER-ASDONK

Esistono due grandi scuole di linfodrenaggio. La prima è chiamata Vodder dal nome dei suoi fondatori. Il metodo consiste nel forzare, con lievi pressioni graduali, i tessuti a svuotarsi dai liquidi e i vasi linfatici rimasti ad accelerarne il riassorbimento. Il trattamento secondo Vodder dovrebbe anche essere in grado di ridurre la rigidità del tessuto fibroso nei casi avanzati di linfedema. L’effetto generale è una diminuzione del dolore e un rilassamento muscolare. I movimenti utilizzati non somigliano affatto a quelli tipici del massaggio. Non si tratta di spremere o tirare violentemente la muscolatura, ma solamente di agire sul sistema linfatico che si trova proprio sotto la pelle. Per questo i tessuti vengono tirati leggermente dalle dita del fisioterapista,e poi schiacciati con pressioni che variano secondo la rigidità del braccio, ma che sono sempre abbastanza lievi. Secondo la scuola di Vodder il trattamento deve cominciare con una fase intensiva. Per qualche settimana si eseguono una o due sedute al giorno, di un paio d’ore ciascuna. Al termine di questo periodo si dovrebbe notare una diminuzione della circonferenza del braccio di almeno il 40 per cento. La fase successiva, invece, si limita a mantenere i risultati ottenuti, con sedute più brevi e più distanziate.

Il metodo LEDUC
La seconda scuola esistente, che fa capo al fisiatra belga Albert Leduc, prevede invece sedute di linfodrenaggio manuale simili a quelle descritte, associate però a pressoterapia e a bendaggi contenitivi.
La pressoterapia è una tecnica che utilizza manicotti gonfiabili,simili a quelli che si usano per prendere la pressione del sangue, che si espandono gradualmente e spremono il braccio gonfio. Vengono applicati prima del linfodrenaggio vero e proprio, che interviene successivamente a convogliare il liquido verso i vasi linfatici.
Per mantenere i risultati ottenuti, la scuola di Leduc consiglia di bendare il braccio, ma non molto stretto. La fasciatura dovrebbe essere leggermente più stretta vicino alla mano e più lassa a mano a mano che sale verso l’ascella.
Il tutto non deve però impedire i movimenti, che sono un esercizio indispensabile. La contrazione muscolare stessa provvede, infatti, a eliminare parte dei liquidi in eccesso.

Una delle complicanze del linfedema è la linfangite. Per linfangite si intende una infiammazione della parete del vaso linfatico dovuta alla presenza di batteri del ceppo dello streptococco che danno come quadro clinico un’erisipela. Questa si manifesta con arrossamento, dolore, febbre, macchie rosse che corrono lungo tutto il decorso del vaso linfatico, malessere accompagnato a volte da vomito.


Le cause di una linfangite possono essere varie, normalmente sono dovute a traumi o ferite, ma possono essere causate anche da allergie.
 E’ molto importante fare un’attenta profilassi delle ferite e prestare molta attenzione ai cambiamenti e di temperatura e di colore dell’arto. 
Il trattamento della linfangite prevede l’uso di antibiotici, antipiretici, diuretici e capillaro-protettori che devono però sempre essere somministrati dal medico.
 

Il linfodrenaggio manuale è una metodica messa a punto nel 1930-1932 dal medico e biologo danese Emil Vodder e sua moglie Estrid. Il metodo fu presentato per la prima volta nel 1936 a Parigi ma è stato solo negli anni '60 che, grazie all'interessamento del medico tedesco Asdonk che il "Metodo Vodder" ha ricevuto l'imprimatur scientifico tanto atteso. In Italia il massaggio è giunto nel 1974, quando il Dr. Vodder, e il suo staff, iniziò a tenere conferenze e corsi pratici nel nostro Paese. Vodder scrive sulla tecnica del linfodrenaggio manuale: “nel 1936 ci riuscì di mettere insieme, attraverso intuizioni e innumerevoli trattamenti pratici, un metodo di lavoro sistematico e chiaro. Doveva trattarsi di una specie di movimenti rotanti, aspiranti e svuotanti, con una pressione di meno di 30 mm/hg per non causare alcun sovrafflusso ematico. Sui linfonodi, che prima nessuno osava massaggiare, eseguimmo leggere rotazioni -in loco- indagando, ogni volta, palpando, utilizzando l’eccellente sensibilità dei polpastrelli e di tutta la superficie del dito.”

 

       


::::::    Creato il : 06/08/2010 da Magarotto Roberto    ::::::    modificato il : 06/08/2010 da Magarotto Roberto    ::::::
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