AMICI ANIMALI COMPAGNI DI GUARIGIONE
fonte : airc .org
Cani, gatti, ma anche criceti, conigli, asini, capre, mucche, cavalli, delfini e persino pesciolini rossi possono dare un prezioso contributo nella cura di molte malattie, tra cui il cancro. Già nell’antichità, infatti, si sosteneva il valore ‘curativo’ degli animali: a essi si attribuivano addirittura poteri soprannaturali, e fu proprio il padre della medicina, Ippocrate, a consigliare come rimedio all’insonnia e allo stress quella che oggi chiamiamo ippoterapia. Da quando i medici hanno sviluppato una maggiore attenzione agli aspetti psicologici delle malattie, e in particolare di quelle più stressanti, come il cancro e i disturbi cronici, anche la cura con animali è tornata alla ribalta, seppure con un nuovo nome.
La pet therapy (dall’inglese pet, ovvero animale da compagnia) fu infatti proposta per la prima volta nel 1961 dal neuropsichiatra infantile Boris Levinson, che aveva scoperto casualmente l’effetto benefico del suo cane su un bambino malato di autismo. È grazie a questa intuizione che oggi alcuni animali possono fregiarsi del titolo di ‘coterapeuta’: in pratica affiancano il medico nel percorso di guarigione, interagendo con il paziente e facilitando la comunicazione. Questi effetti benefici si notano soprattutto nei bambini e negli anziani che sono, non a caso, i primi destinatari di molte attività e terapie assistite con animali (AAA, Attività assistita dagli animali, e TAA, Terapia assistita dagli animali), come vengono chiamate con un termine più moderno.
Le basi scientifiche
Il ministero della Salute ha riconosciuto definitivamente la validità scientifica delle terapie con animali nel 2003, ma di fatto fin dal 1997 ha finanziato diverse sperimentazioni rivolte in genere a persone con disturbi cognitivi, comportamentali e psicologici.
La pet therapy si è rivelata efficace soprattutto per anziani, bambini autistici o con handicap motorio e in generale per disabili fisici e psichici. Gli ultimi studi indicano buoni risultati nella cura di pazienti con trauma spinale, ictus cerebrale, Alzheimer ed epilessia. In ambito oncologico i progetti ospedalieri italiani che si avvalgono di animali come integrazione delle normali cure stanno pian piano prendendo piede. Il principale obiettivo è alleviare la sofferenza fisica e psicologica del malato per consentirgli di affrontare al meglio sia il ricovero sia le terapie. La relazione tra il paziente e l’animale mira a restituire al malato autostima, sicurezza, capacità relazionale e, in molti casi, permette di riacquisire abilità psicologiche e motorie perse a causa della sofferenza.
Una vita più gradevole
L’Ospedale pediatrico Meyer di Firenze porta avanti, all’interno del reparto di terapia del dolore, un programma di AAA. “La compagnia di un animale aumenta nel bambino la socializzazione e quindi l’interazione con gli altri. Per quelli gravemente ammalati, costretti in ospedale e perciò tagliati fuori dalla vita normale, gli animali rappresentano un legame con la speranza”. Così Simona Caprilli, psicologa del Reparto dolore e cure palliative del Meyer, descrive l’importanza per i bambini della presenza di animali. “In sostanza miglioriamo la qualità di vita dei bambini durante i lunghi ricoveri. Un rapporto intenso fra uomo e animale è infatti uno stimolo psicologico molto forte al recupero e allevia anche l’ansia di separazione dall’ambiente familiare e la solitudine”.
Il progetto ‘Incontri con gli animali’, che ha come protagonisti due cani, è nato nel 2002 in collaborazione con l’Associazione Antropozoa grazie al finanziamento di una fondazione privata. “È dimostrato che la presenza di animali aiuta a superare momenti d’ansia e difficoltà, anche se è difficile lavorare con i bambini che si devono confrontare con paure molto grandi come quelle evocate dal cancro” aggiunge Francesca Mugnai, responsabile del progetto. Cosa fanno i bambini con i cani che partecipano alla cura? Quello che fanno tutti i piccoli: ci giocano, li toccano, li abbracciano, instaurano un rapporto affettivo. Spesso domandano della loro storia e, se possono uscire dal reparto, li accompagnano fuori a giocare o fanno delle passeggiate. “Il nostro intento è anche quello di osservare come avviene questa relazione, che ci dà informazioni importanti per valutare come viene vissuto il ricovero e, in ultima analisi, per capire lo stato di benessere psicologico del bambino”.
Un analgesico a quattro zampe
Gli animali riducono anche la percezione del dolore. A Firenze lo hanno dimostrato valutando la sofferenza dovuta a un prelievo di sangue in presenza e in assenza degli amici canini. “Di solito, in occasione di eventi ansiogeni, uno dei parametri che si innalza maggiormente nel sangue è il cortisolo, un ormone che misura lo stress” racconta Caprilli. “In presenza dei cani i livelli di cortisolo sono invece risultati più bassi del normale, e ciò indica chiaramente che i bambini hanno sofferto meno sia il dolore sia lo stress perché distratti dalla loro presenza”.
Inoltre, per valutare con precisione lo stato di benessere del bambino in presenza degli animali, il Meyer ha svolto uno studio osservazionale su 28 bambini fra i quattro e i dodici anni. Dopo aver giocato con il cane, i bambini si descrivono felici, ma nei giorni in cui i cani non ci sono il loro umore è depresso.
“Questi dati sono un’ulteriore conferma del valore delle attività con animali, come si nota anche dai disegni fatti dai bambini” conclude l’esperta. Ora al Meyer si pensa a come replicare il progetto proponendo anche nuove soluzioni.
Un altro progetto di AAA è quello attuato presso il reparto di oncologia dell’Ospedale San Donato di Arezzo in collaborazione con l’Associazione GAIA (Gruppo di aiuto interdisciplinare con animali).
“Ci rechiamo in oncologia una volta alla settimana per un’ora circa” spiega Francesca Mattesini, educatore professionale e presidente di GAIA. “I nostri cani sono tutti scrupolosamente controllati dal veterinario dal punto di vista igienico-sanitario e sono muniti di certificato rilasciato dal responsabile veterinario della ASL che autorizza al loro impiego per fini terapeutici. I cani circolano liberamente per il reparto alla presenza di due operatori cinofili più uno psicoterapeuta ed entrano spontaneamente in contatto con l’utente (portano al paziente peluche, danno la zampa, mostrano la pancia), e, con il consenso del malato, salgono sul letto (viene messa una traversa sterile) durante la chemioterapia.
Il malato accarezza il cane (che è addestrato a non toccare i tubi), si rilassa e parla con noi operatori. Insomma, è più spontaneo e invogliato a interagire”.
Risultato? I pazienti che partecipano a forme di pet therapy rispondono meglio alle cure (per esempio, manifestano meno effetti collaterali alla chemioterapia) e accettano più di buon grado le sedute, spesso fonte di ansia e paura.
:::::: Creato il : 23/07/2010 da Magarotto Roberto :::::: modificato il : 23/07/2010 da Magarotto Roberto ::::::