Mi chiamo Giuseppe e sono nato a Mantova il 28/03/1965.
Sono un ingegnere , attualmente iscritto all’ultimo anno della laurea specialistica.
Sono l’RSPP di un’azienda, attività che svolgo da quando ho dovuto cambiare lavoro a causa di quello che sto per raccontarvi
Si, qualche anno fa, precisamente il 25 dicembre 1999, mi trovavo, verso l’ora di pranzo, in auto lungo la strada che va da Mantova al lago di Garda.
Era una giornata freddissima, nevosa e con le strade lastricate di ghiaccio.
Abituato a guidare anche nelle situazioni più difficili, non ebbi timore della terribile giornata ma decisi di affrontare lo spostamento per arrivare a casa dei suoceri e festeggiare con loro il Natale.
La vita mi sorrideva, mi ero appena sposato perché aspettavo un figlio, ero un apprezzato export manager, amavo lo sport, giocavo al pallone in una squadra di terza categoria, amavo il jogging che praticavo giornalmente durante gli spostamenti di lavoro all’estero, e, da qualche anno, avevo iniziato a gareggiare in barca a vela per un club nautico del lago di Garda.
Tutto mi andava bene, mi sentivo ‘padrone del Mondo’ e, da quando mi ero laureato in tre anni e mezzo all’età di trenta due anni lavorando come facchino in un’azienda durante il turno di notte, avevo una considerevole autostima.
Un giorno, però, qualcosa cambiò.
L’auto su cui viaggiavo in compagnia di mia moglie venne ‘fermata’ da un auto proveniente in senso opposto di marcia. Poi mi dissero che fu un bel frontale.
Su una curva sinistrorsa il conducente di una BMW perse il controllo della sua auto causa l’asfalto lastricato di ghiaccio e ci investì violentemente scaraventando fuori strada l’auto che stavo guidando.
Non ricordo quasi nulla di quel incidente perché mi svegliai dal coma all’ospedale dopo aver ‘dormito’ una quindicina di giorni.
Fortunatamente assorbii buona parte dell’urto del frontale in quanto la mia vettura fu colpita quasi per intero dalla parte del conducente.
Questo permise a mia moglie, era gravida da soli tre mesi, di continuare la gravidanza senza problemi per il feto che oggi è il figlio splendido che ogni genitore può desiderare.
Quel giorno dovettero intervenire i pompieri per potermi estrarre dall’auto accartocciata.
Quando arrivai all’ospedale di Desenzano non respiravo quasi più, ero oramai grigio in viso, più morto che vivo soprattutto per il terribile trauma toracico che aveva causato lo sfondamento di diverse costole e per i vari ematomi sanguigni che costellavano il mio cervello provocandomi lo stato di coma.
Visto le innumerevoli fratture agli arti inferiori, lo stato di coma, e i diversi traumi fui sballottato tra l’ ospedale di Desenzano e la clinica Pederzoli di Peschiera che doveva essere più abituata a trattare l’infortunistica stradale; a detta dei miei cari, alla fine di un’interminabile giornata, fu presa la decisione di trasferirmi con urgenza a Borgo Trento dove venni visitato e mi fu diagnosticato un futuro un po’ meno drammatico.
Da Borgo Trento fui trasferito all’ospedale di Negrar dove fu atteso il mio risveglio per poter intervenire chirurgicamente su alcune fratture ossee.
Dopo qualche mese di permanenza all’ospedale di Negrar la persistente ed oramai ingiustificabile dolenza all’addome creò dei sospetti nel personale sanitario che mi curava al punto che furono richiesti per me degli ulteriori accertamenti diagnostici.
Da qui si arrivò alla scoperta di un carcinoma del testicolo in stadio già avanzato.
Il protocollo previsto è intervento chirurgico e due cicli di chemioterapia che affrontai mentre in ginecologia ci si stava preparando per la nascita di mio figlio.
Dopo una permanenza di oltre sei mesi, fui dimesso dall’ospedale con una Cartella Sanitaria abbastanza pesante di consigli/prescrizioni post ospedaliere che mi obbligò ad una riabilitazione forzata di diversi mesi ed ad un viraggio del mio stile di vita.
Fisicamente non ero più in grado di affrontare una vita stressante e carica di fatiche professionali in giro per il mondo, al punto che, con sommo dispiacere mio e della direzione della nota azienda per cui avevo lavorato fino ad allora, preferii rassegnare le dimissioni e liberare il mio posto.
Il mio corpo ero quello di un Invalido Civile con esiti permanenti.
Non perdendomi d’animo strinsi i denti e mi impegnai a fondo in una nuova attività professionale fisicamente un po’ meno stressante.
Nella vita nulla è facile, ci sono delle partite che richiedono un grosso impegno ed una dose di fortuna.
A volte si preferirebbe lasciarsi andare, lasciarsi cullare.
Queste sensazioni fanno parte anche dei miei vaghi ricordi del periodo del mio stato di coma; ricordo che quando venivo sollecitato a svegliarmi resistevo perché ero stanco e preferivo dormire, lasciarmi cullare dall’oblio in cui mi trovavo.
La vita non è sonno, oblio; si nasce con fatica, si cresce con difficoltà, si matura con sofferenza.
Sostenni dei corsi e divenni RSPP per lo stabilimento di un Gruppo industriale italiano molto importante.
A questo punto ho pensato che se dovevo ‘attaccare’ le scarpe da calcio al chiodo, valeva la pena che trovassi un nuovo hobby, magari più impegnativo e gratificante del precedente.
Così mi iscrissi alla Laurea Specialistica superandone il primo anno.
Da qualche anno ho una nuova compagna che mi ha dato una figlia splendida dandomi la forza di guardare il futuro senza angosce o timori.
Cecilia è la persona che ogni ognuno vorrebbe al proprio fianco per tutta la vita.
E’ una donna splendida che è stata accanto a me anche nei momenti più difficili che abbiamo condiviso.
Ama mio figlio in modo unico, ha con lui un rapporto splendido e qualche mese fa gli ha dato una sorellina meravigliosa.
‘La vita è bella’ e merita di essere vissuta.
Spesso un dramma nasconde qualcosa; se il dramma infatti è enorme, se è carico di negatività, ci ritroviamo appesantiti e schiacciati senza forze.
Se in quei momenti riusciamo a muovere un solo dito ci sembra di avere fatto una maratona interminabile, uno sforzo straordinario.
Così è.
Abbiamo fatto una cosa straordinaria; se ci fermiamo un attimo a riflettere sulla semplice azione che abbiamo effettuato scopriamo che proprio semplice non è.
Si, perché quella azione sarebbe semplice se venisse effettuata in condizioni normali.
Ma non è così; diventa una cosa straordinaria perché è uno sforzo di proporzioni uniche.
E’ lì che dobbiamo trovare la forza per rigenerarci, per reagire, dobbiamo essere consapevoli di aver fatto qualcosa di unico, di eccezionale come può essere il primo passo senza aiuto che muove un bambino ( ci siamo mai chiesti quante volte quel bambino è caduto in terra per fare quel semplice passo? )
Se ci scrolliamo di dosso quella semplificazione che si chiama “ abitudine” scopriremo che quella cosa semplice semplice che poteva apparire come insignificante agli occhi di tutti è per noi , in certe situazioni, uno sforzo biblico.
Dopo sei anni di difficoltà di ogni genere Cecilia ed io abbiamo pensato che era il momento di costruire una famiglia.
Dal nostro amore è nata una bambina splendida.
‘La vita è bella’: ve lo garantisco.
Giuseppe, Cecilia e la piccola Marta
:::::: :::::: modificato il : 10/11/2009 da Magarotto Roberto ::::::