Il carcinoma della cervice uterina rappresenta in percentuale il secondo tumore
femminile e si identifica come la forma tumorale umana maggiormente studiata; è
stato inoltre ipotizzato e successivamente dimostrato nel 1920 da Schiller e Meyer
che le lesioni intraepiteliali precancerose rappresentano effettivamente i precursori
del cancro cervicale e si è rivelato utile poter individuare e riconoscere queste
lesioni per prevenire la progressione verso la forma invasiva.
Se in passato le lesioni preneoplastiche venivano scoperte in modo fortuito nelle
biopsie o nelle isterectomie, con l’introduzione della citologia cervico-vaginale,
della colposcopia e con l'organizzazione dello screening vaginale nella
popolazione femminile, si ha la possibilità e la capacità di individuare le
alterazioni precancerose al nascere, prevenendo così l’evoluzione verso le lesioni
tumorali invasive.
Oggi, con l’introduzione di nuovi approcci diagnostici, ci si può avvalere oltre alle
tecniche citate in precedenza, di metodiche di citogenetica e di biologia
molecolare.
L’introduzione della citologia cervico-vaginale accoppiata alla biopsia cervicale,
come mezzo di investigazione delle lesioni precancerose della cervice uterina, è
stata la pietra miliare nello studio del cancro di questa sede anatomica ed ha
tutt’oggi un ruolo centrale come strumento di prevenzione.
Tra i differenti fattori di rischio individuati nel corso degli anni e correlati col
tumore della cervice uterina, quello più strettamente associato si identifica con i
ceppi ad alto rischio del Papilloma Virus Umano.
L’HPV, è un piccolo virus nudo a Dna con tropismo per l’epitelio squamoso
pluristratificato, capace di integrare il proprio genoma con quello della cellula
ospite e di indurre le alterazioni nucleo-citoplasmatiche tipiche della coilocitosi; in
questo studio la presenza dell'HPV ad alto rischio è stata indagata con la tecnica di
ibridazione in situ. Il meccanismo oncogenetico indotto dal virus è rappresentato
dall’interazione di proteine virali quali E6 ed E7 con specifiche proteine regolatrici
del ciclo cellulare; in particolare E6 inattiva la proteina p53 ed E7 distrugge il
complesso pRb-E2F, inducendo l’iperespressione della proteina p16.
La proteina p16, inibitore delle chinasi ciclina dipendenti, è il prodotto di un gene
oncosoppressore il quale prevenendo la fosforilazione della pRb impedisce la
progressione del ciclo cellulare; ma nel momento in cui il meccanismo
oncogenetico indotto dall’HPV provoca l’iperespressione della p16, il controllo del
ciclo cellulare viene meno. Quindi una aumentata espressione della p16 può
rappresentare un utile marcatore per evidenziare cellule trasformate dall' HPV.
Un altro marcatore impiegato nello studio delle lesioni precursori del carcinoma
cervicale è la proteina Ki67, espressa a livello nucleare in cellule in attiva
proliferazione e viene impiegata quindi per valutare proprio il grado di
proliferazione cellulare; infatti la positività cellulare nei tre strati presi in
considerazione nello studio varia, aumentando con la progressione delle lesioni.
La presenza immunoistochimica della p16 e del Ki67, indica zone ad alto indice di
proliferazione e può quindi far presupporre la presenza di alterazioni epiteliali
indotte dal meccanismo oncogenetico dell’HPV e di conseguenza risulta di grande
aiuto nella diagnosi e nel stabilire il grado delle lesioni proliferative cervicali.
Questi marcatori non sono solamente utili per formulare o confermare diagnosi
istologiche che altrimenti, in certi casi, rimarrebbero dubbie, ma offrono ulteriori
informazioni sulle lesioni epiteliali e quindi risulterebbero in grado di predire la
progressione delle lesioni preneoplastiche consentendo di seguire il follow-up delle
pazienti.
In conclusione, se è vero che la colorazione di routine ematossilina/eosina,
universalmente utilizzata, rappresenta tutt’ora il mezzo più standardizzato per
giungere ad una diagnosi, è anche vero che essa non consente di valutare l’indice
di proliferazione epiteliale, né di stabilire se le alterazioni nucleo citoplasmatiche
della coilocitosi siano dovute a ceppi di HPV ad alto o basso rischio né se sia già
avvenuta l’integrazione del virus nel DNA della cellula ospite. Da questo punto di
vista la determinazione della p16, del Ki67 e la tipizzazione dell' HPV
rappresentano un ottimo supporto diagnostico.
:::::: Creato il : 19/06/2010 da Magarotto Roberto :::::: modificato il : 19/06/2010 da Magarotto Roberto ::::::