Mi chiamo Giacomo, ho 23 anni e ho avuto un linfoma di Hodgkin
aggressivo, recidivante e inoperabile. Abito a Milano .
Ho scritto il libro "La formula chimica del dolore" fra un ciclo di
chemioterapia ad alte dosi e l’altro, spesso di notte, quando ero
ricoverato in ospedale e non riuscivo a prendere sonno per “la tosse
del soldato”, ovvero i rantoli di quegli anziani che combattevano
contro la malattia che gli sbranava il corpo, tossendo, mugolando
anche di notte, rubandomi il sonno con quegli aiuto-aiutatemi-aiuto
che sentivo provenire dalle altre camere del reparto; ricordo che,
quando ero in camera sterile, litigavo col caposala perché
notoriamente la tastiera del computer è l’oggetto più infetto che si
possa immaginare, ma non ero disposto a scendere a patti né sui
quadernetti dove annotare le mie sensazioni o dettagli salienti dei
miei compagni di camera, né sul computer dove rielaborarli in
racconti: me li portavo dovunque, a costo di farmi venire un febbrone
per quei “batteri-batteri-batteri!” che erano severamente banditi dal
reparto.
Scrivere il libro è stata per me l’altra faccia della terapia: certo,
il novantrone e il melfalan mi hanno distrutto le cellule
schizofreniche del corpo, ma cos’ha rasserenato le cellule impazzite
dei miei pensieri? In questo senso il libro è stato salvifico, una
specie di terapia che scorreva fra le mie vene contemporaneamente a
quella tradizionale farmacologica: e che al posto di farmi bollire nel
calderone della chemio, mi restituiva l’armonia di cui avevano
bisogno. La scrittura mi ha sempre salvato dai momenti più
terrificanti della mia vita: da adolescente partecipavo a decine di
concorsi letterari non tanto per la gloria di cui non sentivo affatto
bisogno, quanto perché avevo bisogno del denaro messo in palio per i
primi classificati: a casa abbiamo vissuto un lungo periodo di
difficoltà economiche e senza quelle vincite non sarei potuto andare
alle gite scolastiche.
Ho deciso di pubblicare il mio libro perchè… io, quando ero ammalato,
sentivo il bisogno spasmodico di non sentirmi solo nel mio dolore. Ero
l’unico ragazzo in un centro che si occupava prevalentemente di
anziani spesso con una prognosi infausta: i miei amici morivano
accanto a me, l’aria puzzava di morte e io mi sentivo risucchiato
verso l’obitorio del seminterrato. Ricordo che appena avevo quei 3000
globuli bianchi sufficienti per farmi uscire di casa senza correre il
rischio di prendermi un febbrone, andavo in libreria e cercavo libri
nei quali speravo di trovare quelle rassicurazioni che spesso i medici
non ci danno. A volte i dottori sono geniali nell’interpretare i
nostri valori del sangue e nel prescriverci roboticamente i farmaci
più adeguati, ma si dimenticano di somministrarci quell’elisir
portentoso di cui io avevo un bisogno viscerale, spasmodico: la
speranza. Ricordo che spesso “rubavo” la rete wireless dell’ospedale
per connettermi a facebook o entrare in blog/forum o in siti come
questo, per leggere le storie degli altri e trovare in loro
consolazione e coraggio: avrei potuto tenere il mio manoscritto per
me, come memoria storica dei fatti che mi sono accaduti, ogni pagina
una fotografia dei miei stati d’animo e un monito a volersi bene
sempre anche solo per avercela fatta, ma ho deciso di liberarlo dal
computer e di condividerlo con tutti coloro che come me avevano o
hanno bisogno di sentirsi meno soli nelle loro riflessioni e nelle
loro paure notturne o diurne: a costo di essere tacciato come
autoreferenziale, il mio libro è un atto d’amore per chi ha avuto o
sta ancora combattendo contro l’alieno-cancro, e per chi ha bisogno di
un pezzo di carta che gli dica: “non ti preoccupare, ce la farai”.
Il titolo “la formula chimica del dolore” è stato scelto all’ultimo
secondo, poco prima che il libro andasse in stampa: sono stato molto
indeciso e per tanti mesi l’unico titolo possibile mi era sembrato “la
tosse del soldato”, che è un’immagine - o forse un suono - che evoca
efficacemente l’atmosfera notturna dell’ospedale, quando non si riesce
a prendere sonno per i rantoli dei soldati/pazienti che combattono una
guerra ridicola contro il proprio corpo, con armi nucleari - le
chemioterapie - che fanno esplodere dentro sè stessi, e
pastiglie-pallottole che sparano a sé stessi. Il libro, infatti, si
apre e si chiude col suono della tosse.
Poi, però, ho deciso improvvisamente di invertire la rotta perché “la
formula chimica del dolore” mi sembrava un titolo magnetico, che
racchiude in sé l’idea principale del romanzo e cioè che il dolore non
ammala soltanto i pensieri e l’anima, ma anche il corpo: come se
questo stato d’animo, questa sensazione emotiva, d’un tratto si
concretizzasse, prendesse forma, si coagulasse dentro di noi sino a
trasformarsi in un sassolino che depositandosi nel nostro petto
comincia a mangiarcelo. In un tumore, insomma. E’ un processo
metabolico inspiegabile e misterioso, che mi è venuto in mente
osservando le lacrime: anche queste, forme corporee di un dolore
immateriale che… non ha una formula chimica, eppure è dentro di noi, e
ci fa straripare l’anima e le cellule. Ancora oggi non so proprio
quale fra questi due sia il titolo più azzeccato.
Mi si gonfia il petto di felicità, come se dentro ci navigasse una
nuvola, quando ricevo lettere di persone che l’hanno letto: gli
ammalati hanno gli strumenti e la sensibilità per comprendere i
messaggi che gli lancio con le mie righe, ma questo è un libro che
vuole somministrare un po’ di speranza e di allegria a tutti: perchè,
come mi dicono in molti, nonostante il titolo è un romanzo allegro e
in alcuni tratti persino spassoso. Spero che sia davvero così: io,
scrivendolo, ho spesso sostituito la mia tosse grassa con… grasse
risate.
giacomo
PS a questo indirizzo troverete un mio video girato alla Bicocca
dove spiego con la mia voce le mie idee sulla malattia, il dolore e la vita
www.youtube.com/watch
:::::: Creato il : 21/04/2010 da Magarotto Roberto :::::: modificato il : 21/04/2010 da Magarotto Roberto ::::::