fonte : medinews.it
SINTESI DELL’INTERVENTO
DELL'AVV. ELISABETTA IANNELLI
a Roma
20 aprile 2010
presentazione del libro
"Ho vinto io"
Giunti-Demetra editore
A quasi 18 anni dalla diagnosi, in questa fase della vita che definirei di “maturità oncologica”, posso ben dire che con il cancro si può convivere e le donne che hanno condiviso la loro esperienza nel libro “Ho vinto io” ne sono, come lo sono io, la prova vivente! Nel 1993, quando il mio cammino è iniziato, in pochi l’avrebbero creduto possibile. La cronicità costituisce un aspetto ancora poco noto della malattia oncologica che solo da pochi anni comincia ad essere materia di studi e ricerche scientifiche e che rimane ancor oggi un profilo appena abbozzato nell'immaginario collettivo che teme il cancro come malattia mortale anche se curabile con grandi sofferenze e per periodi di tempo limitati. La cronicità oncologica da opportunità di vita rischia di diventare una condizione di esasperata sofferenza se non è affrontata e supportata adeguatamente nella sua complessità che investe non solo la dimensione strettamente clinica del problema (nelle sue accezioni mediche e psicologiche) ma anche la sfera familiare, lavorativa, economica e sociale del malato di cancro.
Se nella fase acuta, quella dell’emergenza si può contare su un fitta rete di sostegno di strutture, amici e parenti, quando si passa alla routine di trattamenti periodici prolungati nel tempo e di follow up ricorrenti, ci si sente spesso soli e privi di supporto.
Poter contare su altre esperienze positive, trovare persone con cui condividere ansie e dubbi, è essenziale. Ho sempre avvertito il peso della testimonianza, raccontavo ai medici che mi auguravo di poter essere un “caso” interessante, un esempio di controllo della malattia o addirittura di guarigione per poter essere d’aiuto. In questo vedo il principale valore di “Ho vinto io”, un’esperienza che mi ha molto coinvolta umanamente e professionalmente. Un messaggio di speranza da cui può nascere la vera rivoluzione culturale nei confronti del cancro.
La mia storia di paziente si fonde, inevitabilmente, con il mio impegno nel volontariato iniziato nel 2000, l’anno che ha segnato il momento più critico di tutta la mia malattia. Da lì sono ripartita con un’altra grinta, è emersa la mia voglia d’impegnarmi, la rabbia e il desiderio di dare un significato a questa sofferenza. Non sapevo bene come incanalare tutta questa energia, poi ho scoperto AIMaC (Associazione Italiana Malati di Cancro, parenti e amici www.aimac.it), l’associazione nata dall’esperienza di malato del suo fondatore e presidente Francesco De Lorenzo, che si occupa di colmare il vuoto informativo in cui i malati spesso si trovano. Ho capito che, come giurista, avrei potuto apportare un contributo significativo. E mi sono impegnata anima e corpo, com’è nel mio stile. Con il professor De Lorenzo abbiamo saputo trasformare la comune sofferenza causata dal cancro in un’esplosione d’iniziative e vittorie sul campo, per i diritti dei malati e il miglioramento della qualità della vita di chi si ammala.
In Italia possediamo un’ottima assistenza oncologica, strutture di primo livello, una rete capillare di centri di eccellenza. Ma a un malato tutto questo non basta. Vuole trovare il conforto e la condivisione della sua esperienza con altri che l’abbiano già vissuta. Le tantissime associazioni di volontariato oncologico rispondono a questo bisogno: sono formate in gran parte da pazienti o familiari, persone che possono comprendere la complessità dei sentimenti di chi deve affrontare un tumore, capaci di infondere speranza, in grado, se serve, di consolare. La FAVO (Federazione delle Associazioni di Volontariato in Oncologia www.favo.it), riunisce oltre 500 associazioni di volontariato che prestano quotidianamente un prezioso servizio in favore dei malati di cancro e delle loro famiglie costituendo una rete che crea sinergie fra le più diverse realtà associative oncologiche ed assicurando una rappresentanza istituzionale per il riconoscimento di nuovi bisogni e di nuovi diritti. Il prossimo 16 maggio si celebrerà a Roma con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri la quinta giornata nazionale del malato oncologico “Vinciamo insieme la vita” in occasione della quale sarà presentato il II rapporto F.A.V.O.-Censis sulla condizione assistenziale dei malati oncologici.
FAVO ed AIMaC (che è da sempre fortemente impegnata anche per la tutela dei diritti dei malati) segnalano che i malati e i loro familiari troppo spesso subiscono discriminazioni, ingiustizie e violazioni delle norme poste a loro favore. A partire dalla mancanza di rispetto per le esigenze del paziente, una scarsa sensibilità anche “burocratica”: attendere un referto per dieci giorni invece di uno non rappresenta una mera questione amministrativa. È sofferenza vera, ore di vita “sospesa”, angoscia gratuita che si potrebbe evitare con una migliore organizzazione. Il medico che scarabocchia velocemente la cartella clinica non si rende conto di quanto quel documento sia importante. Un gesto semplice come la corretta compilazione di un referto può evitare al paziente disguidi, intoppi, umiliazioni o nel migliore dei casi una perdita di tempo, il cui valore è immenso per il malato. L’esempio di Vittoria, prima donna ex-paziente che è riuscita ad adottare un figlio, esemplifica perfettamente quanto la rigorosa e sterile applicazione di norme possa rivelarsi un ostacolo mortificante sulla strada della maternità ben peggiore delle visite e dei trattamenti periodici. Richiedere un certificato di “sana e robusta costituzione”, quando nessuna legge lo impone, è insensato, discriminatorio e umiliante, senza considerare che impone la scelta tra un atto falso e la rinuncia al sogno di maternità. Eppure molti Tribunali dei minorenni in Italia pretendono questa certificazione, altri Tribunali, più illuminati, chiedono un certificato di “idoneità piscofisica all'adozione” che, tradotto, significa l'assenza di patologie psichiatriche e fisiche mortali o pericolose per il minore e per la sua serena crescita ed educazione. L'esperienza vissuta da una coppia che ha affrontato ed elaborato l'aggressione di una malattia grave come il cancro può diventare una ricchezza che passa dalla sofferenza per raggiungere la consapevolezza e la piena comprensione del valore della vita in tutte le sue sfaccettature. Ciò rende quella coppia idonea, forse addirittura più di tante altre, ad accogliere un bimbo e a comprenderne le difficoltà derivanti dall'abbandono che lo ha reso adottabile.
Una società che non arriva a capire che chi che ha avuto un cancro è prima di tutto una persona, è una società che nega i diritti per fretta, superficialità, ignoranza rispetto ai progressi della medicina. Non vogliamo essere trattati tutta la vita come malati.
In questi anni la percezione nei confronti del cancro è parzialmente cambiata, ma l’evoluzione nel vissuto sociale, nella comunicazione e nell’immaginario collettivo è rimasta comunque molto più indietro rispetto ai risultati scientifici. Quante volte si sente ancora il termine “brutto male”... quasi che la malattia possa essere “bella”! Peggio ancora è dire “un male incurabile”, mentre è proprio la persona che non ha speranza di guarire a potere, anzi dovere essere curata!
In questo cammino le associazioni non possono farcela da sole: lanciamo quindi un appello alle Istituzioni perché si dimostrino sensibili e collaborative per rendere sempre più rapido e completo il reinserimento di chi supera un tumore. Con provvedimenti concreti, misure legislative per tutelare davvero queste persone sul lavoro, nel loro progetto familiare e, in generale, nel pieno godimento dei loro diritti.
LA DR.SSA ELISABETTA IANNELLI, AVVOCATO, È UNA DELLE PROTAGONISTE DI “HO VINTO IO”, VICE-PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE AIMaC E SEGRETARIO GENERALE DELLA FAVO
nel 2009 e' intervenuta al nostro convegno " PER UNA VITA COME PRIMA " IIIa edizione
:::::: Creato il : 21/04/2010 da Magarotto Roberto :::::: modificato il : 21/04/2010 da Magarotto Roberto ::::::