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la terapia di Jackie ( J.Carter: una donna migliore ) [01/01/2010]

 

La terapia di Jackie

TUMORE Bella, cool, in carriera. Un giorno scopre di essere malata. Deve affrontare la chemio. E mette a punto un metodo di sopravvivenza: continuare come prima. Le unghie diventano scure? Servono guanti chic. Il colorito è verdastro? Via con il make up. Jackie Carter racconta a D la sua stupefacente strategia

di Laura Lazzaroni
 
Fonte : D ( 2 gennaio 2010)
 

Scherzando, le sue amiche la rimproveravano di "giocare la carta del cancro" per impietosire nei saloni di bellezza e ottenere prima un appuntamento. Semmai è stato vero il contrario: per Jackie Carter, 51 anni, fisico da indossatrice, una carriera in ascesa (da direttore editoriale di una divisione Disney sta passando a Scholastic, la casa editrice di Harry Potter), la bellezza - ragionarci, curarla, immortalarla - è stata la stupefacente strategia con cui vincere la sfida di un linfoma non-Hodgkin e della relativa, debilitante chemioterapia. Ha dovuto affrontare sei cicli di trattamento, ha dovuto scegliere se abbandonarsi alla disperazione o rilanciare. Così, da donna "frivola", ha combattuto la sua guerra. A colpi di parrucche, guanti, boa di struzzo, puntate da Tiffany. All'inizio l'hanno aiutata a rimuovere il problema; alla fine ad accettarlo, insieme alla nuova versione di sé. Già così è una storia non comune. C'è poi il fatto del portfolio: della sua avventura, Carter conserva una cicatrice postoperatoria, una nuova filosofia di vita e un servizio fotografico scattato dall'amico Martin Mistretta, che davanti all'obiettivo ha avuto Iman, Paulina Porizkova e Isabella Rossellini. Di quel servizio ha fatto una mostra, The It Girl's Guide to Chemo ("It girl" è colei che fa tendenza), all'inizio in esposizione al Creative Center - Arts for People with Cancer di New York, attualmente in giro per gli Usa. E presto lo darà alle stampe sotto forma di libro, per diffondere quanto più possibile il messaggio: mai smettere di volersi bene. Jackie, anzitutto una domanda doverosa: come sta? "Trafelata: ho rischiato di non farcela a tornare a Manhattan in giornata. Ero fuori città, un tratto di ferrovia si è allagato, la batteria del cellulare era a terra, ho fatto l'autostop. Quanto alla mia salute, sto bene. Il cancro è in remissione. Ho smesso la chemio nel maggio del 2002, ora devo sottopormi a Tac ed esami del sangue periodici. E tornare per approfondimenti, se i linfonodi risultano ingrossati. Per ora, comunque, è tutto ok". Partiamo dall'inizio, quando ha deciso di affrontare il cancro con questo atteggiamento provocatoriamente "frivolo"... "Ero in taxi, e stavo andando dal parrucchiere, quando ho ricevuto la telefonata. Mia madre, che era con me, mi ha detto: "Non devi andare, se non te la senti". Ma io ci tenevo a sistemarmi i capelli (forse perché il pensiero di ritrovarmi senza è stato il primo che ho avuto). In un certo senso è stato un bene: appena arrivata ho parlato del problema con la mia stylist, e lei è stata molto efficiente e comprensiva. Mi ha persino fissato un appuntamento in un ottimo negozio di parrucche. In capo a due settimane, ancora prima di cominciare la terapia, avevo già scelto la mia. Subito dopo, sono calata sui negozi". Da vera patita dello shopping. "Seriamente, io ero digiuna di ambienti ospedalieri. Sapevo a malapena in cosa consistesse la chemio. Dunque sono partita da una considerazione banale e pragmatica: come vestirsi per le sedute? Ho scelto uno stile che ha contribuito a ravvivare l'umore delle altre pazienti e del personale ospedaliero. E, naturalmente, il mio". In che modo? "Intanto distogliendo la mia attenzione dalla malattia, dal pericolo che rappresentava e da quello che mi aspettava, in termini di sofferenza psicofisica e di di-sagio per il trattamento. Ero in piena negazione. Non sopportavo le reazioni del mio corpo. Perdere i capelli è quello che mi ha sconvolta maggiormente; quando hanno cominciato a cadere i primi ciuffi, me li sono fatti radere. Rifiutavo anche le altre manifestazioni fisiche della terapia: io, che già pesavo poco, ho perso altri 12 chili. Mi fissavo sul problema e sull'immediata soluzione: rimarrò senza capelli? Mi servirà la migliore parrucca possibile. Le unghie diventano scure? Comprerò guanti nuovi. Il mio incarnato tende al verdognolo? Farò un giro delle migliori profumerie e chiederò una consulenza estetica. È stato così che mi è venuta l'idea del servizio fotografico: non volevo sembrare una vittima, ma mi pareva di non avere più un briciolo di femminilità. Emblematica di quella fase è la foto in cui sono distesa e indosso la divisa da basket, la testa calva sopra al pallone". Poi che cosa è successo? "Due cose: ho cominciato a pensare che, dopotutto, il mio aspetto era gradevole. E a capire che l'atto di prendermi cura di me stessa mi risollevava l'umore, oltre a farmi sentire e sembrare più bella. È stato terapeutico. Mi ha permesso perfino di ridere di certi episodi buffi". Per esempio? "La parrucca è stata una fonte inesauribile di gag. Un giorno, mentre stavo cucinando, ha quasi preso fuoco. In un negozio, un'altra cliente si è avvicinata e mi ha avvertita con discrezione che la stavo perdendo. L'episodio forse più buffo, però, ha coinciso con la prima seduta di chemio. Mi avevano somministrato un farmaco che doveva scongiurare reazioni allergiche, ma paradossalmente è stato proprio quello a scombussolarmi! Ero in uno stato euforico, come in preda a un'ubriacatura. Le infermiere cercavano di completare i moduli per la mia accettazione, e io non riuscivo a sillabare il mio nome né a ricordare il mio numero di previdenza sociale. Ridevo, mormoravo: "M-mmm" e tracciavo le lettere per aria. È stata mia madre a fornire loro tutti i miei dati anagrafici". Insomma, la cura di sé è il segreto per sollevare lo spirito e riuscire ad accettarsi meglio? "Molto di più. Prima della chemioterapia, ho parlato con una donna che aveva sofferto del mio stesso male. Lei mi ha riferito i risultati di uno studio che metteva in relazione le percentuali di sopravvivenza dei pazienti oncologici e il loro atteggiamento verso la patologia.

 

                                                                         

 

Quelli che si trovavano in una fase di negazione o in uno stato attivo e propositivo mostravano percentuali più elevate di quelli che, invece, cadevano preda della depressione. Sembra esserci un legame tra psiche e organismo, nella malattia come nella ripresa". Ottimismo e autostima vengono in soccorso anche a guarigione avvenuta? "Sì. Prendiamo il mio caso: amici e parenti sono rimasti in uno stato di prostrazione e angoscia per tutta la durata del calvario, mentre io reggevo benone. Una volta tagliato il traguardo, però, loro hanno voltato pagina e io sono crollata. I miei cari non se lo spiegavano, io nemmeno. In seguito, confrontandomi con altre sopravvissute, ho capito: fintanto che combatti per la tua salute e sei di-stratta dalla routine delle cose da fare - medicinali, visite, referti - hai la mente focalizzata altrove. Ma dopo... dopo ti trovi faccia a faccia con una nuova versione di te. Ed è importante che tu abbia gli strumenti per accettarla. Accettare questa nuova fragilità, questa vulnerabilità, questo corpo e spirito che ti sembra di non riconoscere ma che sono i tuoi, come e più di prima: ecco la chiave. Dall'apparente debolezza emerge una donna più forte, più reattiva, capace di prendere sé e il mondo con leggerezza. Occorre accogliere l'esperienza della malattia: sembrerà assurdo, ma molte pazienti la considerano quasi un dono. Di questa filosofia mi sento di dare anche una lettura più generale: troppo spesso le donne non accettano il proprio aspetto fisico, invece è importante abbandonare questa mentalità, a prescindere dal fatto che si sia malate o no. A me è stata necessaria un'esperienza estrema come il cancro per arrivare ad ammettere: "Non sono poi così male!"". E il rapporto con gli altri, è cambiato? "Sì, e in meglio. Quest'avventura ha portato nella mia vita una quantità sorprendente di amore e solidarietà: amici, parenti, il mio partner (che, da timido e sotto pressione qual è sempre stato, si è rivelato una roccia), i tassisti che mi accompagnavano alle sedute di chemioterapia, i consulenti di bellezza e di moda. Tutti mi hanno aiutata, con trasporto e umanità. Sbaglia chi si vergogna di ammettere la propria sofferenza per paura che la gente si ritragga: io sono felice di non averla taciuta, mai. Alla fine, mi sono trovata più disponibile alle conoscenze, più aperta alle novità". Tornando all'importanza di curare il fisico, e in particolare la bellezza: quanto se ne parla nell'ambiente medico? "Poco o nulla, e questo è sconfortante. L'emergenza spinge a considerare il problema dal punto di vista strettamente clinico. Spesso i medici non sono aggiornati in merito a tutti i programmi di supporto che possono facilitare la ripresa, come quelli centrati sull'area estetica; e anche quando lo sono, non ne sottolineano a sufficienza l'importanza. Per esempio, io sono stata in cura al Memorial Sloan-Kettering di New York (uno dei centri oncologici di punta degli Usa, ndr). Solo poco tempo fa ho scoperto che avevano un programma di sensibilizzazione sulle tematiche di self-image! Ora lo staff mi ha chiesto aiuto per compilare un indirizzario di riferimento: negozi di parrucche, estetisti e così via. Occorre promuovere la sensibilizzazione, non mi stancherò mai di ripeterlo. Occorre creare un flusso di informazione dal personale sanitario ai pazienti, fino agli amici e familiari, che fanno da rete di contenimento". È per favorire la sensibilizzazione che ha pensato alla mostra e al libro? "Certo. Il punto di arrivo sarà la pubblicazione del volume. Ci stiamo lavorando: a posteriori, direi che mi sono divertita a scattare le foto del servizio. Ciascuna mi ricorda una fase del mio percorso medico e personale, ma soprattutto la lezione che ho imparato e che vorrei trasmettere: da una tragedia come il cancro può emergere una donna migliore".

 

                                              

                                        foto di Martin Mistretta

 

 


::::::    Creato il : 01/01/2010 da Magarotto Roberto    ::::::    modificato il : 01/01/2010 da Magarotto Roberto    ::::::