Aprirsi alla verità
“La malattia, quanto più è grave, tanto più tende a nascondersi. E nessuno la va a cercare, perché la sua vista inquieta. Questa segreta complicità tra chi, soffrendo di una malattia che nulla di buono lascia presagire, tiene nascosta la sua condizione, e chi evita di entrare in contatto col malato per non incontrare quell’impaccio discorsivo che paralizza tutte le parole gravide di false speranze e di vuoto futuro, crea quella strana condizione che porta chi soffre in un isolamento aggiuntivo a quello provocato dalla malattia. E così la nostra esistenza si rende immune dalla presenza anche massiccia della sofferenza. Una sofferenza silenziosa, densa come la nebbia, che in modo impercettibile ci tocca da ogni parte e che può passare inosservata solo a colpi di rimozione percettiva, visiva, linguistica. Ma il rimosso ritorna come atrofizzazione del nostro cuore che, per non percepire, non vedere, non sentire quel che inevitabilmente lo tocca, deve procedere a tali colpi di amputazione della propria sensibilità, da diventare alla fine un povero cuore. […] Apriamo allora gli ospedali alle scuole, e le scuole agli ospedali, alle carceri, alle case degli immigrati, a i campi Rom e in genere ai luoghi del disagio e del dolore, non per intristire la vita ai nostri ragazzi, ma per non ingannarli, per non far credere loro che la realtà sia quella descritta dalla televisione, dove, tra balli e canti, si celebra solo la festa della vita, privando così i nostri ragazzi di tutte quelle esperienze che possono creare in loro quella sensibilità che li renderà idonei ad affrontare la vita, quando questa si presenterà nel suo lato oscuro e buio.”
Umberto Galimberti, da “Lettere a Umberto Galimberti”, D La Repubblica delle Donne, 21 Novembre 2009
Vi riporto questa nuova riflessione di Umberto Galimberti perché ritengo davvero importante meditarvi e riflettervi sopra con attenzione.
Credo che tutti noi abbiamo potuto constatare in diverse occasioni come la notizia della nostra malattia susciti reazioni disparate, talvolta sconcertanti. Si va dallo stupore (perché in questo momento stiamo bene e non siamo morti, come forse ci si aspetta), allo sconcerto malcelato. E poi, proprio perché stiamo bene, si rimuove subito l’argomento passando ad altro. Difficilmente -a me non è mai capitato- trovi qualcuno che ti chiede cosa hai provato, come hai vissuto quei mesi di cura e di sofferenza. Quasi che fare queste domande, entrare affettivamente nel vissuto di malattia di questa persona che si ha davanti, possa mettere in comunicazione con una parte (di noi o della vita stessa, il cui alter ego è la morte) che non si è in grado di accogliere e di contenere.
Così accade spesso che perfino noi malati diciamo questa terribile verità -“ho avuto il cancro”- con voce sommessa, quasi dovessimo confessare uno scandaloso segreto o una malattia a trasmissione sessuale, che svelerebbe le nostre promiscue abitudini. In realtà, inizi subito a proteggere gli altri da questa assurda verità: ho una malattia che potrebbe portarmi alla morte. La Morte: è questa, credo, la parola che non si può pronunciare, la verità che il nostro mondo occidentale tiene il più possibile lontano dalla Vita.
Ma è proprio in questa separazione, tra la Vita e la Morte, che incontriamo la morte. Così come dice Galimberti, “il rimosso torna come atrofizzazione del nostro cuore … da diventare alla fine un povero cuore”.
Io stessa, all’inizio della mia malattia avevo nascosto a mia figlia la verità su quanto mi stava accadendo: non le avevo detto che sarei stata operata per un cancro all’intestino. Ma appena tornata a casa l’ho fatto e ho così percepito il sollievo di mia figlia. Il sollievo, esattamente. Per quanto assurdo possa suonare, la verità ha provocato questo movimento di sollievo e di sorellanza immediate. E credo che mia figlia, oggi, sia una persona più equilibrata e più completa grazie anche a questo percorso che abbiamo fatto tutti insieme. Un percorso che è stato fatto nella Luce della Verità, che non ha nascosto la sofferenza, ma l’ha accolta con tutte le difficoltà e l’amore che porta con sé. Siamo cresciuti insieme e questo non sarebbe stato possibile nella menzogna. E sempre per questo, ho portato talvolta con me Alice nella casa accoglienza di Ageop ( Bologna) presso cui presto il mio servizio di volontariato. Incontrare i bimbi, con le loro teste calve, le mascherine e i loro occhi cerchiati, ma anche con la loro voglia di esserci e di giocare con noi, credo sia un modo, uno dei tanti possibili, per continuare a mantenerla in contatto con la verità della Vita.
Lei stessa mi ha fatto diverse volte notare che spesso le accade di sentirsi diversa, in qualche modo, dai suoi coetanei, o comunque da quelli che vivono ancora “nella realtà descritta dalla televisione”, come dice Galimberti. E le accade sempre, come anche a me e a mio marito, di comprendere subito, a pelle, se la persona che ha di fronte ha vissuto un’esperienza di sofferenza simile. Perché la sensibilità aumenta proporzionalmente all’accettazione della verità.
Desidero donare queste mie riflessioni soprattutto a coloro che hanno figli, affinché ricordino che, anche se piccoli, hanno il diritto di pretendere la verità. E noi genitori abbiamo la grande responsabilità, ma anche il grande onore, di farli crescere senza ombre sugli occhi, e soprattutto, sul cuore.
Rossella
:::::: Creato il : 23/11/2009 da Magarotto Roberto :::::: modificato il : 23/11/2009 da Magarotto Roberto ::::::