Cari amici
ho trovato questa bellissima lettera che il Prof. Umberto Galimberti
ha pubblicato nel suo spazio su D/ La Repubblica delle Donne in edicola
la scorsa settimana. Non sono stata in grado di trovarla sul sito di
Repubblica, quindi l'ho ricopiata con piacere perché, oltre ad essere
molto simile a tutti i nostri racconti, il dott. Mascarin (che l'ha
inviata a Galimberti) ha raccolto in un libro (che nel testo è
indicato) le storie dei suoi pazienti: la stessa iniziativa che ci
proponiamo di portare avanti l'anno prossimo
E' molto bello sapere che le stesse emozioni, gli stessi sentimenti e
proponimenti si manifestano in persone di età così diverse. Una
dimostrazione in più del fatto che, se vissuta da questa prospettiva,
la malattia diventa una grande opportunità di crescita interiore e non
una disgrazia o una terribile punizione.
Rossella
Fonte: D La Repubblica delle Donne
Lettere a Umberto Galimberti
GIOVANE NOIA DI VIVERE
E se il senso della vita fosse semplicemente quello di vivere?
Era estate. L'estate del 2000. L'estate che ricorderò per tutta la mia vita. Avevo tredici anni e la scuola stava finendo. Tutti i miei compagni si stavano preparando per l'esame di terza media. Per me e per i miei amici era un esame importante. Il primo vero esame. Mi stavo impegnando. Ero felice di prepararlo non rendendomi conto che c'era un esame tutt'altro che scolastico ma ben più impegnativo ad attendermi.
Vedevo e sentivo che c'era qualcosa che non andava. Quelle forti emicranie al mattino appena sveglia, la spossatezza continua e poi quella mano, i cui piccoli gesti non riuscivo bene a controllare. Mi cadevano di mano gli oggetti, la mia scrittura non era più la stessa e a danza ogni piroetta finiva con un giramento di testa. Non capivo. Eppure dentro di me sapevo che c'era qualcosa di strano.
La risposta è arrivata un pomeriggio di maggio nel corridoio dell'ospedale adiacente alle sale della TAC. Mi ricordo che io e miei genitori stavamo aspettando seduti su quelle sedioline asettiche dell'ospedale. Per me l'attesa era snervante, c'era puzza di disinfettante e quel posto non mi piaceva.
Solo dopo la risonanza magnetica capii tutto fino in fondo. C'era una noce annidatasi nel mio cervelletto anzi, "una lenticchia", proprio così mi venne spiegato. In seguito, questa lenticchia venne tolta. Quello che successe in quell'estate non fu molto piacevole. Chemioterapia e radioterapia non sono facili da sopportare.
Eppure ora, a ventun anni, posso dire di essere cresciuta in quell'estate. In quei mesi scoprii quanto ero fortunata. In fondo, non avevo una leucemia fulminante e non ero in attesa di un donatore che chissà quando sarebbe arrivato. Ero fortunata.
Nell'estate del 2000 ho imparato tante cose. Ho imparato ad amare la vita e ciò che fino ad allora mi sembrava scontato, un mio diritto. Ho scoperto un dovere: quello di ringraziare per tutte le meraviglie della vita. Ho imparato a sorridere con il cuore davanti a uno sguardo divertito, davanti a un mazzo di fiori, davanti a una giornata di sole e anche davanti a una di pioggia.
Ogni sera prima di addormentarmi penso alle cose che ho fatto durante la giornata e mi sento privilegiata. Anche se la radioterapia ha portato via i miei bellissimi boccoli biondi, ho imparato che non è quello che mi farà essere migliore.
Sono fiera di ciò che sono diventata. Adesso guardo a ciò che è successo come una grande esperienza che ha contribuito a forgiare il mio carattere. Mi ha dato la possibilità di vivere qualcosa che prima conoscevo solo come lunghe e complicate parolone pronunciate dai più grandi, come qualcosa lontano da me. Certo sbatterci contro ha fatto male, ha lasciato la cicatrice. Una cicatrice che è sempre lì per non farmi dimenticare quanto sono fortunata.
A volte, sento addosso l'opprimente sguardo di qualcuno che, trovandosi davanti a me per la prima volta, non può fare a meno di volgere inconsciamente lo sguardo ai miei capelli. Ormai ci sono abituata. Ma una cosa bellissima è notare come l'interesse gradualmente si sposti verso qualcos'altro, come le involontarie occhiate furtive vengano sostituite dall'interesse per ciò che esprimo con le parole e che lascio trasparire dai miei occhi.
Mi piace comparare la mia storia alla scelta fatta da un atleta per coronare il sogno di vincere le Olimpiadi. Una lunga strada fatta di duri allenamenti lo attende per raggiungere la forma perfetta. Io non ho mai scelto di gareggiare alle Olimpiadi, ma qualcuno ha deciso che dovevo fare l'atleta.
Chiara
Mi ha inviato questa lettera un oncologo pediatra del Centro di Riferimento Oncologico di Aviano, dott. Maurizio Mascarin (mascarin@cro.it) che ha raccolto gli scritti, gli sms, le mail degli adolescenti che aveva e ha in cura, decidendo con loro di pubblicarli, nel settembre 2008, in un libro intitolato "Non chiedermi come sto, ma dimmi cosa c'è fuori", una frase che un giorno gli rivolse una ragazza ammalata. Lo scopo? Far vedere quanta vita palpita in chi non sa se e fin quando potrà viverla. Non conosco l'editore, altrimenti lo segnalerei a tutti quei giovani demotivati che non sanno cosa farsene della loro vita. E però, quando la noia li assale e, con quel suo spessore opaco e buio, li opprime fino a indurli all'ultimo gesto, perché non scrivere a questo medico oncologo, farsi indicare dove reperire il libro e leggerne qualche pagina, dove forse la vita cede il suo segreto, la sua bellezza inosservata e spesso trascurata, prima di spegnerla perché non se ne è reperito il senso, che forse non è in un altrove lontano e segreto, ma in quel giorno dopo giorno che non a tutti è proprio concesso.
Umberto Galimberti
umbertogalimberti@repubblica.it
:::::: Creato il : 11/08/2009 da Magarotto Roberto :::::: modificato il : 12/08/2009 da Magarotto Roberto ::::::