Il grande Giorgio Melchiori , supremo studioso di Shakespeare , i cui lavori sono un punto di riferimento fondamentale anche per gli anglosasssoni , è morto poche settimane fa - era nato nel 1920!
Da ragazzo gli era stata amputata una gamba per un sarcoma
ma questo non l'aveva fermato , nel suo amore per lo studio della letteratura
Riproduciamo qui un ricordo di un suo allievo e una traduzione del famoso monologo di Amleto
Il suo suo nome, forse ignoto a molti fra i non addetti, era sinonimo di grandezza in ambito non soltanto accademico. Grandezza totale, reale, assoluta, tale da farlo considerare, in maniera pressoché unanime, tra i più grandi studiosi di anglistica viventi. Allievo di Mario Praz, quindi Professore a Torino e a Roma – “La Sapienza” prima e “Terza Università degli Studi” poi – si è spento a febbario all’età di ottantotto anni. Un grande filosofo contemporaneo, Pierre Lévy, sostiene che “quando muore un anziano va in fumo una biblioteca”; forse soltanto quest’immagine riesce a restituire, seppure in minima parte, la reale portata della sua perdita.
Insigne studioso di Joyce e Shakespeare ha firmato e curato una serie infinita di saggi e libri, tra cui spiccano, giusto per citarne alcuni, l’integrale del teatro shakespeariano per “I Meridiani” Mondadori e gli innumerevoli studi su Joyce editi da Bulzoni. La misura della sua produzione e la qualità della ricerca sono tuttavia tali da evitare, in questa sede, sterili e chilometrici elenchi; per quelli esistono già le bibliografie, alla cui consultazione rimandiamo chi voglia beneficiare e godere dell’opera di un insigne studioso, riconosciuto parte di un ristrettissimo numero dei maggiori anglisti di sempre.
La sua figura, specie negli ultimi tempi, era assurta a presenza quasi mitologica, tale era l’ammirazione tributatagli tanto dalle alte sfere accademiche quanto dagli studenti appassionati. Ed erano proprio questi ultimi, molti dei quali giovanissimi, che setacciavano da capo a piedi i suoi testi con la disperata tenacia dei cercatori d’oro, non potendo più godere delle sue sublimi lezioni dopo che il congedo accademico e le condizioni di salute lo avevano forzatamente allontanato dalle aule universitarie.
Chi ha invece avuto la fortuna di poter assistere alle sue ultime, preziose apparizioni prima del congedo – chi scrive è tra questi – ne ricorda l’aura realmente magica da cui erano avvolte, ritmate dal suo eloquio luminoso come il cristallo, dal garbo solare, dalle mille imprevedibili rotte cui approdavano i suoi pensieri e dagli stimoli che suscitavano. Ogni sua lezione era avvolta da un quid di sacralità, forse nella convinzione comune del godere di un privilegio ascoltando uno degli ultimi, grandi maestri, accompagnata dall’ingrata consapevolezza che di quei magici incontri ne sarebbero rimasti pochi.
Da molti anni claudicante, sempre accompagnato dall’inseparabile bastone dopo la perdita di una gamba a causa di un cancro, aveva proseguito la ricerca con la passione incrollabile e l’umore instancabile che mai lo avevano abbandonato, anche quando la vista aveva cominciato seriamente a vacillare costringendolo a centellinare letture e lavoro.
Nell’aula del Rettorato dell’Università La Sapienza, sopra un orripilante affresco d’arte fascistoide, troneggia un bella scritta in latino, traducibile in questi termini: “La dottrina dello studio migliora e aiuta la Vita; insegnare ai giovani rende immortale”.
Se tutto ciò ha un senso, se almeno questo non è uno slogan, Giorgio Melchiori non ci ha lasciato, né ci lascerà mai.
PAOLO BRAMA
AMLETO:
essere o non essere,questo è il problema.
che cos'è piu' nobile,soffrire nell'animo per i sassi e i dardi scagliati dall'oltraggiosa fortuna,
o impugnare le armi contro un mare di affanni
e combatterli fino a farli cessare?
morire,dormire...niente piu'.
e con il sonno dire che poniano fine al dolore della carne
e alle mille afflizioni naturali a cui la carne è destinata?
questa è la fine che bisogna desiderare ardentemente!
morire,dormire..,forse sognare.ecco il difficile.
perchè quali sogni potranno visitarci in quel sonno di morte,
quando saremo usciti dalla stretta di questa vita piena
di affanni mortali,è un pensiero su cui ci si deve fermare a riflettere
e sono proprio pensieri siffatti a prolungare la durata della sventura.
perchè,chi sopporterebbe le sferzate e le irrisioni del tempo,
i torti dell'oppressore,le offese dei superbi,
le pene di un amore respinto,i ritardi della legge,
l'arroganza dei potenti,gli scherni che il meritevole
pazienztemente subisce da parte di gente indegna,
potendo trovare pace da se stesso con la semplice lama di un pugnale?
chi sarebbe disposto a portare carichi sulle spalle,
a gemere e sudare per le difficoltà della vita,
se non ci fosse il timore di qualcosa dopo la morte,
questa terra inesplorata dai cui confini nessun
viaggiatore è mai tornato indietro,timore che,
confondendo la nostra volontà ci induce
a sopportare i mali di cui siamo afflitti,
piuttosto da spiccare
il volo verso altri a noi completamente ignoti?
cosi' la riflessione ci rende tutti vili.
:::::: :::::: modificato il : 28/04/2009 da Magarotto Roberto ::::::